Cosa vuol dire essere religiosi in Giappone?
Tutti i problemi e i grandi assenti nel dibattito pubblico quando si parla di Chiesa dell'Unificazione e nuove religioni.
Un enorme scandalo sui finanziamenti ai partiti ha travolto il primo ministro giapponese Kishida Fumio e il partito liberal-democratico (PLD). Secondo gli inquirenti della Procura di Tokyo, alcuni membri del PLD - in particolare la corrente vicina all’ex primo ministro Abe Shinzo - non avrebbero comunicato di aver incassato negli ultimi cinque anni circa 500 milioni di yen (più o meno 3 milioni di euro) derivanti dalla vendita dei biglietti per partecipare alle cene di raccolta fondi.
Gli ultimi sondaggi danno l’indice di approvazione per il presidente Kishida ai minimi come anche la fiducia per il PLD, già intaccata da un altro recente scandalo: quello della Chiesa dell’Unificazione, l’organizzazione religiosa finita sotto i riflettori dopo l’assassinio di Abe Shinzo e di cui parleremo in questa ultima puntata del 2023. Lo faremo con Erica Baffelli, docente di Japanese Studies alla University of Manchester, esperta delle cosiddette nuove religioni in Giappone.
Benvenutə alla puntata #13 di Japanica.
L’8 luglio 2022, Shinzo Abe sta tenendo un comizio elettorale nella città di Nara quando un uomo dalla folla spara un colpo di pistola che si rivelerà fatale per l’ex primo ministro giapponese. Sin dalle prime ore emerge che dietro l’atto dell’allora 41enne Yamagami Tetsuya ci fosse il risentimento per un’organizzazione religiosa: la Chiesa dell’Unificazione, sostenuta da molti politici giapponesi tra cui lo stesso Abe. La madre di Yamagami è membro dell’organizzazione e negli anni ha donato tutti i possedimenti economici e immobiliari alla Chiesa dell’Unificazione portando la famiglia sul lastrico.
Professoressa Baffelli, come è nata e che tipo di organizzazione è la Chiesa dell’Unificazione?
La Chiesa dell’Unificazione è stata fondata negli anni Cinquanta dal reverendo Sun Myung Moon in Corea del Sud. In Inghilterra e in alcuni paesi europei, i suoi seguaci sono anche conosciuti con il termine di moonies, dal nome del suo fondatore. L’aspetto per il quale sono più conosciuti, specialmente nel contesto italiano, sono i matrimoni combinati di massa.
Negli anni Novanta divenne famoso in Italia questo cardinale africano, Emmanuel Milingo, che si avvicinò all’organizzazione e per questo venne allontanato dalla Chiesa cattolica. Se ne parlò molto a suo tempo sulla stampa.
Sul piano dottrinale, possiamo dire che è un culto millenarista: aspettano la fine del mondo e il ritorno di Cristo. Mentre dal punto di vista politico sono estremamente conservatori. Quando si parla di politiche sulla famiglia, ad esempio, sono contrari ai matrimoni tra persone dello stesso sesso e si oppongono al doppio cognome tra coniugi.
Quali sono gli aspetti più controversi della Chiesa dell’Unificazione? E quali invece le forme di abuso?
L’aspetto più controverso è sicuramente quello delle donazioni, che è anche un argomento comune a molte altre organizzazioni simili. Le donazioni richieste sono talmente ingenti da portare le famiglie in bancarotta, come nel caso della famiglia dell’attentatore di Abe. L’altro tema è quello dei matrimoni combinati: sono emerse molte storie di donne forzate a sposare uomini violenti che hanno poi abusato di loro.
Dopo l’8 luglio sono finiti sotto la lente dei media i rapporti tra i politici, in particolare quelli del partito liberal democratico, e la Chiesa dell’Unificazione. In risposta, lo scorso ottobre, il governo ha chiesto formalmente di revocare lo status di organizzazione religiosa. Secondo lei sarà un provvedimento efficace?
Facciamo un passo indietro. In Giappone non è obbligatorio registrarsi come organizzazione religiosa. Di solito viene fatto perché ha dei vantaggi fiscali, ma non è necessario. Ci sono due precedenti in cui è stato tolto lo status giuridico-religioso: il più noto è quello dell’Aum Shinrikyō, l’organizzazione che nel 1995 commise l’attentato al gas sarin nella metro di Tokyo. Nel 1999, Aum cambiò nome e dichiarò la bancarotta ma di fatto continuò ad esistere sfaldandosi semplicemente in più gruppi. In quel periodo si discusse anche di applicare la legge antiterrorismo per sciogliere definitivamente l’organizzazione, ma alla fine non ci furono i presupposti legali per procedere.
Il caso della Chiesa dell’Unificazione da questo punto di vista è ancora più problematico: l’omicidio di Abe non è stato commesso da un membro dell’organizzazione. In più si pone un’altra questione: anche se si riuscisse a smantellare la Chiesa dell’Unificazione, dove vanno le persone che per tanti anni hanno avuto la loro vita definita all’interno del gruppo? In Giappone non c’è nessuna discussione di supporto, gli unici gruppi informali sono quelli degli ex membri arrabbiati e molto attivi politicamente, ma non è detto che tutti vogliano farne parte.
Negli ultimi mesi si è aperto il tema delle cause legali. Il governo giapponese ha congelato 10 miliardi di yen (circa 63 milioni di euro) della Chiesa dell’Unificazione per coprire i futuri risarcimenti e prevenire che questa sposti i propri beni oltreconfine.
Finora ad avere successo sono state le cause legali intentate dagli ex membri dell’organizzazione dove i legali sono riusciti a dimostrare il danno economico per la persona o la famiglia coinvolte. Più complicato è riuscire a dimostrare le spiritual sales, ovvero la vendita di prodotti, servizi o articoli approfittando delle convinzioni religiose di un fedele.
Il problema è che la grandissima maggioranza dei rituali fatti nei templi o nei jinja, in Giappone, passano attraverso donazioni in denaro. Perché quando vai a pregare il kami (“divinità” nda) per passare gli esami o per la buona salute di un bambino appena nato, stai pregando perché il kami non torni da te per fare il tatari (“maledizione” nda). Tutti i rituali di purificazione, i funerali buddhisti o il kuyō servono per pacificare lo spirito dei morti. Quindi: come si può fermare una signora che dice di aver appena dato milioni di yen ad un prete buddhista per il funerale del marito? Tecnicamente è una spiritual sale anche quella.
Da qui si spiega il silenzio sul dibattito da parte della stampa vicina ai gruppi buddhisti, perché ovviamente non possono dire di essere contrari alle spiritual sale rischiando di apparire a favore della Chiesa dell’Unificazione, allo stesso tempo sanno che il provvedimento avrebbe un impatto profondo su di loro.
Rispetto a questo, che posizione sta avendo il Kōmeitō, partito della maggioranza di governo che sappiamo essere l’espressione politica della Soka Gakkai. Sta facendo opposizione?
Il Kōmeitō sta cercando di tenere una posizione difficilissima, cammina sul filo del rasoio. Storicamente il Kōmeitō ha sempre avuto un ruolo cruciale nell’influenzare alcuni processi legislativi riguardanti gli aspetti religiosi ma anche - pensiamo - all’articolo 9 della Costituzione. In questo caso devono fare molta attenzione: c’è un’opinione ampiamente negativa e diffusa rispetto a tutti i legami che sono emersi tra PLD e Chiesa dell’Unificazione ma l’elefante nella stanza rimangono loro. I rapporti con Soka Gakkai sono molto chiari.
In un articolo pubblicato su Nikkei Asia, il sociologo Sakurai Yoshihide scrive: “A causa della mancanza di alfabetizzazione religiosa, i giapponesi spesso non sono in grado di affrontare le questioni religiose da soli e vengono quindi facilmente reclutati in religioni controverse”. È d’accordo?
Quando ci fu l’attentato al gas nervino nel ‘95, si parlò molto di crisi generazionale e crisi dei valori giapponesi. Ci si chiese perché giovani brillanti iscritti a università prestigiose fossero entrati in un gruppo come quello di Aum, ma andando a guardare i numeri sono stati in realtà una risicata minoranza.
È vero che non c’è educazione religiosa in Giappone, ed è dovuto al fatto che si sono voluti separare lo stato dalla religione dopo il periodo dell’imperialismo, quando veniva insegnato il non poco problematico “shintō di stato” . Ci sono stati tentativi da parte dei gruppi di destra e conservatori come la Nippon Kaigi, di cui Abe faceva parte, di riportare un’educazione religiosa nelle scuole basata sullo shintō, ma sono tutti pressoché falliti.
Il Giappone è un paese estremamente secolarizzato, da più di vent’anni studio quelle che vengono definite nuove religioni e sono tutte in declino. Che dietro all’adesione di alcune persone a queste organizzazioni ci sia la mancanza di educazione religiosa, mi sembra un salto logico problematico. E ci sono tantissimi studi sociologici a dimostrarlo. La gran parte delle persone entra dentro questi gruppi perché presentati da amici, familiari o colleghi di lavoro. Tantissimi dati hanno dimostrato che il proselitismo per strada non funziona. Le persone che entrano spesso poi vanno via subito, perché dall’entrare all’essere parte del gruppo c’è una differenza importante. C’è quindi molto ricambio e non credo che l’educazione risolverebbe completamente la questione.
L’altro elefante nella stanza è l’attenzione per la salute mentale e il supporto psicologico.
Nel dibattito pubblico non sono stati minimamente discussi i motivi per i quali la madre di Yamagami fosse entrata nell’organizzazione. Perché questa donna una volta che si è trovata sola e con i figli da crescere si è affidata alla Chiesa dell’Unificazione? Perché un uomo di quarant’anni si è costruito un’arma guardando video su Youtube ed è andato ad ammazzare un politico per strada dando la colpa alla madre? C’è tutto un discorso sulla salute mentale, sulle questioni di genere e sulle aspettative del ruolo della donna nella famiglia che vengono completamente ignorate. Per le persone di mezza età che per una serie di motivi si ritrovano a vivere in situazioni di indigenza non c’è nessun tipo di supporto.
L’altro aspetto che secondo me è mancato nella discussione pubblica è l’attenzione verso i membri della Chiesa dell’Unificazione. Tutte le telecamere sono state puntate verso quelli che vengono chiamati nisei, le seconde generazioni, ma pochissimo si è parlato delle persone all’interno dell’organizzazione che rischiano di essere ancora più marginalizzate, soprattutto le donne di mezza età che non lavorano e che sono alla base della struttura gerarchica della Chiesa dell’Unificazione.
Che rapporto c’è tra i giapponesi e la spiritualità?
Quasi tutti gli studi degli ultimi vent’anni sono sulla definizione di religione e su cosa vuol dire non essere religiosi nel contesto giapponese. Se guardiamo alle statistiche, più del 70% dei giapponesi si dichiara mushukyō, “non religioso”. Se però poi si va a vedere il numero dei membri registrati nello shukyō nenkan, l’annuario delle religioni pubblicato dal ministero dell’Educazione ogni anno, il numero dei membri registrati sotto la voce “shinto, buddismo e altro” è il doppio della popolazione giapponese. Perché? Da una parte, sicuramente le organizzazioni religiose tendono a ingrossare i dati contando come membri le intere famiglie quando il fedele magari è uno solo. E poi perché in Giappone non è un problema partecipare a rituali di diverse religioni: i funerali solitamente sono con rito buddhista, mentre i rituali di inizio anno sono shintō e così via.
La questione è che in realtà mushukyō non per forza si traduce con “ateo” come lo intendiamo noi. Per un giapponese dire di essere mushukyō vuol dire solitamente non sentirsi parte di un gruppo religioso, non che non si creda in qualcosa. L’idea di religione stessa, come la intendono gli studiosi, è una definizione molto cristiana, protestante più che cattolica. L’idea di fede come anche la relazione con dio o con la bibbia è una cosa che non esiste nel contesto giapponese: l’attenzione è rivolta al rituale e sui benefici che si ottengono attraverso il rituale.
I fatti poi legati all’Aum Shinrikyo hanno gettato un’ombra negativa sul concetto di religione. Shukyo è potenzialmente pericoloso, mentre i rituali e lo shintō non sono religione ma tradizione.
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