Surfando sull'acqua di Fukushima
Tra pranzi a base di sashimi e lezioni di surf il governo giapponese cerca di sedare le polemiche e le tensioni con la Cina, ma la grande sfida più che internazionale è con il proprio elettorato.
Dello sversamento delle acque della centrale nucleare Daiichi di Fukushima, del loro trattamento e dell’opposizione della Cina ne avevo parlato nella puntata #2 di questa newsletter (per chi se la fosse persa link qui), l’avvio però delle operazioni di scarico il 24 agosto scorso e le conseguenti reazioni dei cittadini cinesi mi porta a tornare a scrivere della vicenda.
Negli ultimi giorni, infatti, una quantità sconsiderata di chiamate provenienti dalla Cina ha sommerso istituzioni, aziende e ristoranti giapponesi. In molti video si sente una voce preregistrata in giapponese provenire dall’altro capo del telefono che chiede: “perché state scaricando acqua contaminata nell’oceano?”. Almeno due scuole giapponesi in Cina sarebbero poi state prese di mira con lanci di sassi e uova, mentre molti utenti cinesi avrebbero condiviso sui propri profili social l’intenzione di boicottare qualsiasi prodotto proveniente dal Giappone.
Episodi di questo genere sono stati così frequenti e preoccupanti che il primo ministro giapponese Kishida Fumio ha esortato il governo cinese a quietare gli animi dei propri cittadini e porre fine all’ondata di chiamate e di altri comportamenti molesti. L’ambasciata invece è arrivata a comunicare ai giapponesi residenti in Cina di tenere un profilo basso ed evitare di parlare ad alta voce in giapponese nei luoghi pubblici se non necessario; e di prestare attenzione alle vie limitrofe se ci si appresta ad entrare nell’ambasciata.
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Benvenutə alla #7 puntata di Japanica.
Un pranzo a base di sashimi e un po’ di surf nelle acque di Fukushima
La notizia dell’inizio dello sversamento delle acque trattate nell’oceano ha portato ad ulteriori scene di panico in Cina, dove le persone si sono precipitate nei supermercati per far scorta di sale. L’allarmismo è dovuto alla falsa credenza secondo cui il sale che viene consumato in cucina derivi soprattutto dalla desalinizzazione dei mari e, in secondo luogo, è legato all’idea assolutamente infondata che il sale protegga dalle radiazioni.
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Che dietro alla diffusione di alcuni contenuti social ci sia la macchina del partito o che, più banalmente, i canali governativi abbiano contribuito a far girare specifici video è sotto la luce del sole. Video come quello diventato virale di un proprietario cinese che fa a pezzi quadri a festoni all’interno del proprio ristorante giapponese nella provincia del Guizhou sono stati condivisi da diversi account ufficiali e non è da escludere che l’intera scena sia stata preparata prima.
D’altronde la Cina si è da subito opposta al piano di sversamento delle acque trattate – che Pechino chiama “contaminate” – imponendo anche un divieto all’importazione di tutti i beni ittici provenienti dal Giappone. Una decisione ritenuta “inaccettabile” dal Giappone che lo ha fatto presente al WTO (Organizzazione mondiale del commercio) chiedendo un’immediata abrogazione della sospensione voluta dalla Cina. Secondo i dati forniti dall’Agenzia giapponese per la pesca, il valore totale delle esportazioni nel 2022 è stato di circa 387 miliardi di yen (2,4 miliardi di euro) di cui il 22% è rivolto al mercato cinese.
Come scrivevo nella scorsa puntata in maniera più estesa, l’acqua utilizzata per il raffreddamento dei reattori danneggiati viene trattata attraverso un sistema denominato ALPS (Advanced liquid processing system) in grado di rimuovere tutti i radionuclidi ad eccezione del trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno, la cui concentrazione è di un settimo rispetto alla quantità massima consentita nell’acqua potabile secondo i livelli stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il piano è stato approvato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che ha definito l’impatto radiologico “trascurabile su persone e ambiente”. Rispetto ai pareri dati dalle massime autorità scientifiche e alle informazioni acquisite fino ad oggi, lo sversamento delle acque trattate della centrale Daiichi non è differente o meno sicuro di quello che avviene già in altre centrali nucleari, alcune di queste anche in Cina.
C’è, però, un altro livello che va analizzato ed è il motivo per il quale Kishida Fumio e altri membri del governo mangiano sashimi a favore di telecamera con pesce proveniente dalla prefettura di Fukushima o, nel caso dell’ex ministro dell’Ambiente Koizumi Shinjirō, vengono organizzati corsi di surf per bambini sul tratto di costa interessato. Sicuramente per mandare un messaggio all’estero e sedare le polemiche, ma anche per rassicurare i cittadini e il proprio elettorato.
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Le vittime di inquinamento e la sfiducia nel governo di Kishida
Gli effetti del disastro nucleare del 2011 sono ancora oggi visibili nelle persone che furono evacuate e che, con il tempo, sono tornate ad una vita stabile. Svariate ricerche dimostrano come stress psicologico, stress post traumatico e ansia per la propria salute derivata dall’esposizione alle radiazioni siano ancora decisamente alte. I sondaggi hanno rilevato disturbi alla salute mentale persistenti e una proporzionalità tra stress e livello di radiazioni della zona in cui l’intervistato abitava. Sono emersi anche problemi di dipendenza dall’alcol e un aumento del numero di incidenti stradali.
Ufficialmente, ad oggi, una sola morte è stata riconosciuta come conseguenza dall’esposizione alle radiazioni: un uomo di circa cinquanta anni che lavorava nella centrale nucleare ammalatosi di tumore ai polmoni nel 2016. Alcuni cittadini, però, hanno iniziato a sporgere cause contro la TEPCO, l’azienda energetica responsabile della centrale Daiichi.
È il caso di sei ragazzi e ragazzi, di età compresa tra i 17 e i 27 anni, a cui è stato diagnosticato un tumore alla tiroide e che nel 2011 vivevano in una delle aree evacuate. I giovani chiedono alla TEPCO un risarcimento di 616 milioni di yen (quasi 4 milioni di euro). Una delle querelanti, si legge sull’Asahi Shimbun, ha raccontato di esser stata costretta a lasciare il lavoro dopo la diagnosi nel 2016: “non ho potuto raccontare della mia condizione di salute perché avevo paura che sarei stata discriminata, ma ho deciso di parlare per tutti quei bambini che stanno soffrendo le mie stesse condizioni”, ha detto in conferenza stampa. Secondo i sondaggi delle autorità sanitarie della prefettura, è stato diagnosticato o sospettato l’insorgere di un cancro alla tiroide a circa 260 persone.
La strada per ottenere indennizzi in sede legale fu aperta dalle vittime di inquinamento alla fine degli anni Settanta, quando vennero portati in tribunale i “Quattro grandi casi di inquinamento”: avvelenamento da mercurio a Minamata e Niigata, inquinamento dell’aria a Yokkaichi e avvelenamento da cadmio a Toyama.
Come scrive Elise K. Tipton in “Il Giappone moderno”, a causa di un generale atteggiamento di vergogna e terrore per le deformità fisiche e i disordini mentali, le vittime erano spesso riluttanti a cercare cure o a descrivere la malattia mentre nella comunità molti li evitavano. Le vittime che intrapresero azioni legali dovettero affrontare minacce di ostracismo, accuse di egoismo interessato e comportamento non patriottico. Nel caso più famoso del morbo di Minamata, la ditta Chisso, responsabile dell’inquinamento da mercurio, era un importante datore di lavoro della zona, mentre le vittime venivano da poveri villaggi di pescatori sparsi lungo la baia.
L’azione intrapresa dalle vittime – scrive ancora Tipton – divenne un modello per i movimenti dei cittadini che proliferarono durante gli anni Settanta, tra cui organizzazioni di base che chiedevano la mobilitazione su problemi locali o regionali. Il loro frequente ricorso all’azione legale sembrava in contraddizione con lo stereotipo tradizionale che vedeva nei giapponesi un popolo non litigioso, più incline a risolvere le dispute con metodi informali, senza confronti diretti.
Secondo un sondaggio condotto dall’Asahi Shimbun, alla domanda sul sostegno al piano di sversamento delle acque della centrale nucleare Daiichi elaborato da governo giapponese e Tepco, il 53% ha risposto di essere d’accordo mentre il 41% si è detto contrario. Il 75% degli intervistati ritiene invece insufficienti gli sforzi condotti dal governo per prevenire il danno di immagine che subirà il mercato ittico giapponese.
Il paese, quindi, è diviso in due e non segue compatto il primo ministro Kishida, il cui livello di gradimento è sceso al 33%. E se il governo di Tōkyō ha difficoltà a conquistare la fiducia del proprio elettorato, viene da chiedersi come possa riuscire a conquistare quella dei propri avversari politici continentali.
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Per il centesimo anniversario del grande terremoto del Kantō, è uscito il film del regista Mori Tatsuya, Fukudamura Jiken (“l’incidente del villaggio di Fukuda”) sul brutale assassinio di nove persone appartenenti alla comunità burakumin. Dopo il disastro provocato dal terremoto, si era diffusa la diceria che ad appiccare gli incendi fossero state le minoranze etniche come quella coreana e gruppi da sempre discriminati e razzializzati in Giappone come, appunto, i burakumin.
Qui una ricostruzione di Nikkei Asia su come si sono propagati gli incendi a Tōkyō per 48 ore dopo la scossa di terremoto.