E se la memoria di Hiroshima e Nagasaki non bastasse?
I sopravvissuti alla bomba atomica continuano ad avvertire che ogni nuova guerra rischia di far scoppiare una guerra nucleare.
Negli scorsi giorni, la direttrice dell’Intelligence americana Tulsi Gabbard ha postato sui suoi canali social un video in cui denuncia i “guerrafondai” che ci stanno portando verso il collasso nucleare. Nel filmato di circa tre minuti, Gabbard parla in camera intervallata da immagini girate durante la sua recente visita a Hiroshima.
La donna a capo di CIA, FBI e altre diciotto agenzie di intelligence ripercorre le esplosioni sulle due città giapponesi nel 1945, ricordando il numero di vittime e le conseguenze terribili di un fallout nucleare. Per poi mettere in guardia:
“Tutto questo non è un romanzo di fantascienza, questa è la realtà che c’è in gioco adesso – che dobbiamo affrontare ora. Perché oggi come mai prima siamo qui, sull’orlo dell’annientamento nucleare, mentre politici e guerrafondai fomentano incautamente paure e tensioni tra potenze nucleari, forse perché confidano nel fatto che avranno accesso insieme alle loro famiglie ai rifugi antiatomici, al contrario delle persone normali. Quindi spetta a noi, persone comuni, alzare la voce e chiedere di porre fine a questa follia. Dobbiamo rifiutare questo percorso verso la guerra nucleare e lavorare a un mondo in cui nessuno debba vivere con la paura di un olocausto nucleare”.
Sono evidenti le contraddizioni di un messaggio di questo tipo lanciato da una persona di fiducia nominata dall’attuale amministrazione statunitense.
La promessa di Trump di essere il paciere nello scacchiere globale è evidentemente collassata: la guerra in Ucraina non si è conclusa nell’arco di un giorno, e nelle ore in cui scrivo questa newsletter gli Stati Uniti sono entrati in guerra contro l’Iran bombardando tre siti nucleari.
Dunque, a chi si rivolgeva Gabbard con quel video criptico – come l’ha definito Politico – sul rischio dell’annientamento nucleare per colpa delle élite politiche?
Benvenute e benvenuti alla puntata #49 di Japanica.
Dopo aver visto il video, Trump sarebbe andato su tutte le furie. Questa è la ricostruzione che fa Politico grazie ai racconti di persone interne all’amministrazione che sotto anonimato hanno parlato con le giornaliste. Il presidente si sarebbe lamentato con i suoi collaboratori e non avrebbe per nulla apprezzato la diffusione di un video non autorizzato.
Attenzione alla tempistica: la dirigente dei servizi di intelligence pubblica sui suoi canali social “Tulsi Gabbard e la sua visita a Hiroshima” proprio nei giorni in cui i falchi israeliani sono alla Casa Bianca per convincere il presidente americano a dare il via libera a Tel Aviv per attaccare la Repubblica islamica dell’Iran.
Si svela così l’operazione di Gabbard: lanciare un messaggio a Trump per non approvare l’attacco di Israele contro l’Iran.
Al presidente degli Stati Uniti, però, non piace chi osa contraddirlo soprattutto pubblicamente. Di conseguenza anche l’ex candidata democratica, tra le sue grazie fino a qualche mese fa, viene liquidata così:
“Non mi importa di quello che dice [Gabbard] – ha detto Trump sull’Air Force One in risposta alla domanda di un giornalista – credo che [l’Iran] sia molto vicino ad avere l’atomica”.
Per mesi Tulsi Gabbard ha testimoniato davanti al Congresso americano dichiarando che il regime degli ayatollah sta effettivamente stoccando uranio arricchito, ma che non ha ancora deciso se costruire una bomba nucleare. Salvo poi fare marcia indietro e dire che l’Iran è in grado di produrre l’atomica nel giro di “qualche settimana”.
Ma perché racconto questa vicenda legata alla politica interna americana? Anzitutto una premessa: non è così scontato che vertici delle amministrazioni americane facciano riferimento ai bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki.
Nessun presidente si è mai scusato per il terribile massacro e le atroci conseguenze dell’atomica sofferte dalle popolazioni delle due città – nemmeno Barack Obama, il primo a recarsi nel 2016 in visita ufficiale al Memoriale della Pace a Hiroshima – ed è allo stesso modo inusuale che lo facciano membri del gabinetto di governo.
Quest’anno per di più ricorre l’ottantesima ricorrenza dallo sgancio delle atomiche, e con venti di guerra così sferzanti è inevitabile chiedersi cosa resti di quella memoria e se il potere delle testimonianze può ancora preservarci dai 72 minuti in cui il mondo, per come lo conosciamo oggi, potrebbe essere totalmente spazzato via.
Testimonianze e memoria
Recentemente lo scrittore Paolo Giordano, ospite in una trasmissione televisiva, ha ricordato come quelli in cui ci troviamo oggi siano gli anni in cui i testimoni della bomba atomica, della Resistenza e della Shoah ci stiano lasciando. Esattamente gli stessi in cui qualsiasi tipo di tabù derivante alla Seconda guerra mondiale si sta dissolvendo sotto i nostri occhi.
Siamo in grado di farci custodi della memoria e preservarla anche oltre la scomparsa degli ultimi hibakusha, sopravvissuti alla Shoah e partigiani?
Nella stessa occasione, Giordano sottolineava come il racconto di queste persone rimanga unico per il livello di dettagli e informazioni altrimenti irrecuperabili nei libri di testo. Chiunque abbia mai ascoltato in maniera diretta una testimonianza di questo tipo si rende conto del peso umano di cui si sono fatti carico donne e uomini costretti a vivere i giorni più crudeli della storia dell’umanità.
Non a caso lo scrittore giapponese Ōe Kenzaburō definì gli hibakusha, i sopravvissuti alla bomba atomica, “interpreti della vita umana” (jinseihihyōka).
Nel giorno in cui Israele ha iniziato a bombardare l’Iran, il 93enne Tanaka Terumi, segretario generale dell’associazione degli hibakusha premio Nobel per la Pace nel 2024, la Nihon Hidankyō, ha tenuto una lezione a studenti e studentesse universitari di Hong Kong.
Durante il discorso, Tanaka ha detto di essere profondamente “deluso” da molti leader politici che non si preoccupano degli altri finché i loro Paesi stanno bene. E ha sottolineato: “Non ho dubbi che le guerre possano infine portare a una guerra nucleare. Pertanto, non dovremmo creare situazioni in cui scoppino le guerre”.
Tanaka è anche critico rispetto alla politica della deterrenza nucleare, sostenuta dallo stesso Giappone che si pone sotto il cosiddetto ombrello statunitense: “le armi nucleari sono un’arma crudele che non può essere mai utilizzata e quindi non possono costituire un deterrente”.
I dati dello Stockholm International Peace Research dipingono, tra l’altro, un quadro in cui “l’era della riduzione del numero di armi nucleari nel mondo, che è andata avanti dalla fine della Guerra Fredda, stia ormai volgendo al termine. Al contrario, si assiste a una chiara tendenza alla crescita degli arsenali nucleari, a una retorica più assertiva e all’abbandono degli accordi sul controllo degli armamenti”.
Tanaka ha anche ammonito quei politici che invocano con superficialità la bomba atomica, come il deputato repubblicano statunitense della Florida, Randy Fine, che in un’intervista a Fox News ha dichiarato che per ottenere la resa incondizionata del gruppo palestinese di Hamas servirebbe una bomba atomica su Gaza, come avvenne nel 1945 con il Giappone imperiale.
Da dichiarazioni di questo tipo non sono immuni anche giornalisti di destra italiani che presidiano quotidianamente gli studi televisivi.
“Il mondo ha dimenticato Hiroshima e Nagasaki?”, esordisce in un comunicato del 17 giugno la Nihon Hidankyō. E prosegue: “gli attacchi sui siti militari sono assolutamente inaccettabili. I sopravvissuti alle bombe atomiche di ottant’anni fa protestano fortemente e chiedono un cessate il fuoco. […] Non possiamo in alcun modo permettere che Hiroshima e Nagasaki accadano di nuovo, e per farlo non dobbiamo dimenticare quella tragedia”.
Abbiamo dunque dimenticato Hiroshima e Nagasaki? Cosa succederà quando non ci saranno tra noi più testimoni? E se la memoria non bastasse?
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Sempre sul tema, in questi giorni ho letto un lungo pezzo sul New Yorker sulle vittime dimenticate dell’atomica: i coreani che lavoravano nel Giappone colonialista.
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Thank you for your thoughtful article.
As someone from Japan, I truly appreciate your interest in our history and society.
Reading your reflections gave me a lot to think about.