Il Giappone non vuole rinunciare alla pena di morte
Secondo i sondaggi governativi condotti ogni cinque anni, per la stragrande maggioranza delle persone la pena capitale è 'inevitabile'. Ma è davvero così?
Quando la polizia bussa alla porta di Shiraishi Takahiro per chiedere notizie di una ragazza di 23 anni scomparsa da alcuni giorni, il ventisettenne indica agli agenti una borsa frigo e dice: kokoni imasu.
È qui.
Quello che viene ritrovato all’interno del contenitore refrigerante è terrificante. Sotto allo strato di ghiaccio c’è la testa della ragazza e altri resti umani.
Gli agenti fanno presto a capire che in quell’appartamento di Zama, nella prefettura di Kanagawa, a sud di Tokyo, c’è molto altro. In tutto verranno ritrovate sette scatole, alcune refrigerate e altre no, contenenti sette teste e almeno 240 ossa. Le sezioni di corpo tenute a temperature ambiente sono sommerse dalla sabbietta che si usa solitamente nelle lettiere dei gatti per attenuare gli odori.
Shiraishi Takahiro viene immediatamente arrestato. Al momento dell’interrogatorio confesserà l’omicidio di otto giovani donne di età compresa tra i 15 e i 26 anni e di un ragazzo di vent’anni.
La modalità con cui ha tolto loro la vita è sempre la stessa: il ventisettenne prima le droga con un drink, poi le violenta, infine le soffoca con una corda. Una volta morte, arraffa tutte le banconote che trova nei borselli per poi gettare i corpi nella vasca da bagno e tagliarli a pezzettini.
All’interno dell’appartamento viene trovata anche la sega usata per lo smembramento dei corpi.
Noto anche come il “killer di Twitter”, Shiraishi è stato giustiziato dallo stato giapponese lo scorso 27 giugno per gli omicidi seriali commessi tra l’agosto e l’ottobre del 2017. Come prevede la pena capitale in Giappone, Shiraishi è morto impiccato.
Benvenute e benvenuti alla puntata #50 di Japanica.
Quella di Shiraishi Takahiro è la prima esecuzione dal luglio del 2022, quando venne condannato a morte l’autore della strage di Akihabara del 2008, Kato Tomohiro; e la prima da quando Hakamada Iwao, rimasto nel braccio della morte per oltre 47 anni, è tornato ad essere finalmente libero.
Non indugerò oltre sui delitti di Zama, perché non è il caso di cronaca in sé il punto del discorso che vorrei affrontare oggi. Di questa vicenda aggiungerei solo che all’epoca si accese il dibattito sulla fragilità dei giovani e delle giovani giapponesi. Shiraishi aveva individuato infatti le sue vittime su Twitter: tutte giovani donne che avevano espresso desideri suicidi online.
Nel 2022 il giornalista freelance Shibuya Tetsuya ha analizzato in un libro il caso di Zama e vicende analoghe proprio da questa prospettiva, cercando di individuare le ragioni sociali che spingono adolescenti e giovani ventenni giapponesi a istinti suicidi.
All’epoca, finì sul banco degli imputati anche Twitter – al tempo era ancora di proprietà del fondatore Jack Dorsey – che in seguito all’incidente dovette cambiare i termini e le condizioni del servizio in materia di “incitamento al suicidio”.
Dunque, veniamo a noi.
Lo stesso giorno in cui Shiraishi Takahiro è stato giustiziato, le delegazioni dei paesi membri dell’Unione Europea come anche le ambasciate di Islanda, Norvegia e Svizzera hanno sottoscritto un appello congiunto nel quale hanno chiesto al Giappone di sospendere la pena di morte “adottando una moratoria e promuovendo un dibattito intorno al tema”.
La pena capitale “non agisce da deterrente contro la criminalità e rende irreversibili i possibili errori giudiziari”, si legge nella lettera. E prosegue: la pena di morte “è incompatibile con il diritto inalienabile alla vita e con quello di vivere liberi dalla tortura o da pene crudeli, inumane o degradanti”.
A una conferenza stampa del primo luglio è stato chiesto conto dell’appello al ministro della Giustizia, Suzuki Keisuke, che in sintesi ha risposto dicendo che la pena di morte è un affare da gestire internamente a uno Stato.
Insomma, non si intromettano paesi terzi. Fine della discussione.
Una detenzione ingiusta durata una vita
Hakamata Iwao è stato nel braccio della morte 17.388 giorni, più di 47 anni. L’ex pugile venne arrestato il 18 agosto 1966 con l’accusa di aver ucciso la famiglia di uno dei suoi capi.
Le prove della sua colpevolezza sarebbero riconducibili a dei vestiti macchiati di sangue che, secondo l’accusa, Hakamata indossava durante la mattanza. Nel 1968 Hakamata viene condannato a morte dalla Corte distrettuale di Shizuoka.
Otto anni dopo, l’Alta Corte di Tokyo è chiamata a valutare l’appello presentato dai legali di Hakamata. Hakamata prova a indossare i vestiti su cui si regge tutto l’impianto accusatorio che lo ha condannato al braccio della morte: sono molto piccoli per lui, non gli stanno.
La Corte dice che è Hakamata a essere ingrassato in prigione e che i vestiti, rimanendo diverso tempo immersi nel miso prima del loro ritrovamento nella fabbrica dove lavorava proprio Hakamata, si erano deteriorati e rimpiccioliti.
L’appello viene quindi respinto.
Passeranno 47 anni prima che la Corte distrettuale di Shizuoka prenda in considerazione la possibilità che gli abiti usati come prova fossero stati manomessi e falsificati. E ne passeranno altri dieci prima che Hakamata venga del tutto sollevato da ogni tipo di accusa.
Hakamata Iwao è tornato a essere un uomo libero a fine settembre 2024, all’età di 88 anni. La sorella, che è stata sempre al suo fianco nella lunga battaglia giudiziaria, dice che è difficile anche solo iniziare una conversazione con il fratello che soffre gravemente di disturbi psichici e dice spesso cose senza senso.
Hakamata ha vissuto ogni giorno in prigione pensando fosse l’ultimo e sapendo di non poter salutare per l’ultima volta neanche i suoi cari. Il sistema penale giapponese prevede, infatti, che le persone condannate a morte non sappiano quando avverrà l’esecuzione. Viene comunicato loro la mattina stessa, mentre i familiari vengono avvertiti soltanto dopo che l’impiccagione ha avuto luogo.
Dal 2000 al 2022 sono stati giustiziati in Giappone 98 detenuti. Shiraishi Takahiro è stato il 99esimo.
La pena di morte è davvero “inevitabile”?
Ogni cinque anni, l’Ufficio di Gabinetto giapponese svolge un sondaggio per conoscere il sentimento comune di cittadini e cittadine rispetto alla pena di morte.
Il campione è di quasi duemila persone e i risultati sono sempre plebiscitari per il suo mantenimento. I risultati dell’ultima indagine condotta parlano di più dell’80% delle persone a favore della pena di morte, considerata da questi “inevitabile”.
Il 16,5% si dice invece contrario, un numero in aumento rispetto al 9% del sondaggio di cinque anni prima.
Già da tempo, però, diverse organizzazioni nazionali e internazionali segnalano quanto siano problematici questi sondaggi. Come ha spiegato Chiara Sangiorgio di Amnesty International, “le analisi e i sondaggi, inclusi quelli condotti in Giappone, mostrano come il supporto alla pena di morte sia influenzato dalla metodologia e dalle tempistiche con cui vengono condotti questi studi”.
Nel gennaio del 2024 ero a Taipei per seguire le elezioni. Tra le interviste e le testimonianze raccolte, ho avuto una lunga conversazione con Lin Hsinyi, attivista e direttrice della Taiwan Alliance to End the Death Penalty (TAEDP) – perché sì, anche a Taiwan è ancora in vigore la pena di morte.
Lin Hsinyi mi ha spiegato (un estratto dell’intervista video è sul mio profilo IG) che questo tipo di sondaggi governativi richiedono risposte secche come ‘sì’ e ‘no’ e che, il più delle volte, si svolgono dopo eventi drammatici che scuotono l’opinione pubblica. Eppure, quando è stata la stessa TAEDP a condurre sondaggi presentando domande più articolate e formulando soprattutto alternative alla pena di morte, i risultati erano completamente diversi.
I rappresentanti politici, in ultima analisi, si nascondono dietro l’alta percentuale di persone che apparentemente è a favore della pena capitale per non incentivare un dibattito e lavorare alla sua abrogazione, a Taiwan come in Giappone.
Per rispondere a questa email, proporre una collaborazione o suggerirmi un tema per la newsletter rispondi a questa email oppure scrivimi a eleonorazocca3@gmail.com. Mi trovi anche su Instagram, Bluesky e TikTok.