I JK Café e la sessualizzazione delle minorenni
Dallo scandalo dell'enjō kosai ai ritardi nella legge sull'innalzamento dell'età del consenso, in Giappone il tema della violenza sessuale è ancora un tabù.
Uno degli aspetti probabilmente più disturbanti che si incontrano passeggiando la sera per alcuni quartieri di Tōkyō è quello dei JK café. JK sta per joshi kōsei, ovvero ragazze in età scolare. Da Kabukichō a Akihabara, non è raro imbattersi in ragazze molto giovani che, all’entrata di locali situati a qualche piano alto di un grattacielo, attirano i clienti indossando divise scolastiche e dei cartelli con dei prezzi riportati sopra. Alle loro spalle un uomo le osserva e controlla.
In un JK café i clienti pagano per trascorrere del tempo in compagnia delle joshi kōsei: una chiacchiera intorno a una cosa da bere, una passeggiata al parco o una foto insieme sono alcuni dei “servizi” offerti all’interno di questo tipo di attività che, perlomeno legalmente, non prevedono il contatto fisico.
Il fatto è che il Giappone ancora adesso ha un enorme problema con la sessualizzazione dei minorenni e, solo recentemente, ha aggiornato la legge sull’età del consenso.
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La nascita dell’enjō kosai
“Come fate voi gals a fare così bene?” Tutti gli yakuza in Giappone vogliono saperlo, ma non c’è nessuno a cui chiederlo”.
“Non c’è niente di speciale in noi. Persino alle elementari [ci troviamo di fronte a uomini che] offrono diecimila yen per un bacio, ventimila se li guardi mentre si masturbano. Non conosco nessuna ragazza che non sia stata palpeggiata o molestata in treno. Questo paese è così”.
Il virgolettato sopra riportato è uno scambio che avviene nel film del 1997 Bounce ko Gals (バウンス ko GALS), diretto da Masato Harada. Nella scena, l’attore Kōji Yakusho è un boss della yakuza che, fingendosi un cliente di una giovane studentessa, entra in contatto con le ragazze che a fine anni Novanta si danno appuntamento con uomini molto più grandi di loro in cambio di benefici economici (enjō kosai). Un sistema che sembra interferire con quello della prostituzione controllato dalla yakuza.
Le studentesse fanno uso dei primi cellulari mobile e dei terekura, trasposizione giapponese della parola inglese teleclub, locali forniti di un centralino dove gli uomini aspettano di mettersi in contatto telefonicamente con le giovani. Per tirare su qualche soldo, le adolescenti ricorrono anche ai negozi che acquistano le divise scolastiche e gli slip (burusera) da loro indossati da rivendere poi ai clienti.
Negli anni Novanta, i media giapponesi lanciano l’allarme sull’enjō kosai: è in corso un’epidemia di prostituzione minorile. Eppure, i giornali che denunciano il fenomeno non mettono in conto che sono essi stessi a contribuire alla sessualizzazione delle minorenni.
L’immagine ricorrente è quella della studentessa che, nelle copertine di riviste e reportage da prima pagina, stringe tra le mani banconote da diecimila yen. Come ricorda Sharon Kinsella in Schoolgirls, Money and Rebellion in Japan, l’espediente narrativo preferito dai media diventa quello di mostrare al grande pubblico il contenuto delle borse delle ragazze che avevano fatto ricorso all’enjō kosai. I giornalisti sono alla ricerca di agende personali, contanti, cosmetici e prodotti di marca costosi che dimostrino l’avidità di queste ragazze.
Per la televisione e non solo, al centro dello scandalo c’è il guadagno che queste giovani donne riescono a ottenere attraverso il sesso. Come sottolinea Kinsella, l’archetipo della joshi kōsei avida di denaro e deviata sessualmente è creato da uomini di mezza età che scrivono per giornali e riviste letti principalmente da altri uomini. Non vengono minimamente citati gli abusi, le violenze e gli stupri di cui queste ragazze sono vittima. Non appare rilevante neanche il fatto che, nel 1996, il 30% della produzione porno - e poi a salire del 60% nel 1997 - vede al centro delle fantasie sessuali dei salaryman studentesse delle scuole medie e superiori.
Appare sconcertante - per usare un eufemismo - vedere oggi l’esibizione del gruppo idol femminile Onyanko Club che nel 1985 cantava Sērā Fuku o Nugasanai de (“Per favore, non farmi togliere l’uniforme”). Ragazze, con un volto e un fisico più vicini a quelli di una bambina che di una donna, ammiccavano in camera e ripetevano versi come “voglio fare cose sporche prima che lo facciano le mie amiche”, o ancora: “voglio sapere tutto sul sesso, studio ogni giorno”.
La normalizzazione dell’enjō kosai e i ritardi della legge
Se nel 1999, in risposta allo scandalo sull’enjō kosai, la Dieta giapponese approva una legge che restringe le maglie della legge sulla prostituzione vietando di fatto il pagamento ai minori in cambio di prestazioni sessuali, passeranno molti anni prima che il Giappone riesca ad allinearsi al resto dei paesi dell’OECD sul possesso di materiale pornografico infantile e sull’età del consenso.
Ancora nel 2016, Maud De Boer-Buquicchio, relatrice speciale delle Nazioni Unite sul traffico sessuale di minori e sugli abusi sessuali, in conclusione della visita in Giappone, solleva diverse criticità rispetto al business che si muove intorno alle joshi kōsei (JK). Nel report finale, Buquicchio sottolinea la mancanza di dati aggiornati sull’entità del fenomeno e chiede con urgenza una strategia che affronti le cause profonde dello sfruttamento delle ragazze. Sotto la lente della relatrice speciale dell’ONU finisce anche il fenomeno dei junior idol e della mercificazione sessuale dei minorenni nel mondo dello spettacolo.
A denunciare l’assenza di interesse da parte delle istituzioni è anche Fujiwara Shihoko, fondatrice di Lighthouse, un’organizzazione che per anni ha offerto supporto economico e abitativo alle adolescenti che cercano di uscire dallo sfruttamento dei JK café: “Sono almeno vent’anni che a livello internazionale si discute dell’enjō kosai come di un problema sociale, ma non in Giappone dove non abbiamo nessun dato ufficiale sul fenomeno. Agli uomini - aggiunge Fujiwara - sembra quasi concesso dire: «Sì, sono attratto dalle bambine di 14,15 anni»“.
La normalizzazione dell’enjō kosai - ha scritto la sociologa femminista Ueno Chizuko - se nel breve periodo ha dato l’illusione alle adolescenti di avere una propria indipendenza economica, alla lunga ha rafforzato quelle stesse strutture patriarcali che le giovani donne cercavano di evadere.
La legge che prevede l’innalzamento dell’età del consenso da 13 a 16 anni risale appena all’anno scorso, ma la strada per la sua approvazione non è stata priva di ostacoli. Nel luglio del 2021, nel pieno delle discussioni per il disegno di legge, il politico 56enne del partito Costituzionale Democratico, Honda Hiranao, dichiarava infatti che avrebbe trovato “strano” incorrere in un arresto per un rapporto sessuale con una ragazza 14enne che si è detta consenziente.
Il commento infiammò il dibattito pubblico costringendo Honda a dimettersi, ma le esternazioni del politico sono solo la punta dell’iceberg di un sistema politico e giudiziario che con molta fatica ha cambiato nel 2023 la definizione di stupro da “rapporto sessuale forzato” a “rapporto sessuale non consensuale”.
Anche il sistema giudiziario non è stato in grado di anticipare i ritardi del legislatore. Nel 2014, un tribunale della prefettura di Nagoya ha dichiarato non colpevole un uomo accusato di aver stuprato la figlia tra i suoi 14 e 19 anni. La strategia difensiva preparata dai legali dell’imputato metteva in dubbio l’incapacità della ragazza a resistere al padre, alludendo al fatto che se per cinque anni non aveva fatto nulla per sottrarsi alle violenze allora doveva essere stata consenziente. Di fatto l’adolescente era stata trattata alla stregua di una donna adulta perché formalmente di età superiore ai 13 anni.
Successivamente l’Alta Corte ha ribaltato il verdetto condannando l’uomo a dieci anni di detenzione, ma il caso ha avuto molta eco mediatica e ha portato le attiviste a organizzare dimostrazioni collettive note come le “manifestazioni dei fiori”.
Questa mobilitazione come anche la diffusione del movimento #MeToo e la storica vittoria in tribunale della giornalista Ito Shiori hanno stimolato il dibattito nazionale sul tema, ma la violenza sessuale in Giappone rimane ancora un tabù: l’insegnamento dell’educazione sessuale è modesta se non del tutto assente, mentre generazioni di uomini crescono con un’idea distorta del sesso e del consenso. È molto facile, sin da bambini, avere accesso a materiale pornografico il cui soggetto principale è la donna che ha piacere a fare sesso contro la propria volontà.
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