Come la guerra di genere sta influenzando la politica in Corea del Sud
Alle elezioni del 3 giugno, i giovani maschi confermano una tendenza ormai consolidata: quella di votare sempre più a destra.
I giovani uomini votano sempre più a destra, mentre le coetanee donne sono sempre più progressiste.
È una tendenza che si sta rinsaldando ormai in molti paesi industrializzati e ricchi. L’abbiamo visto negli Stati Uniti a novembre, ed è emerso questa settimana con numeri ancora più espliciti alle elezioni in Corea del Sud.
Il 74% degli uomini tra i venti e i trent'anni ha votato per uno dei due candidati di destra. Andando a guardare le donne nella stessa fascia d’età, quasi il 60% di loro ha espresso la proprio preferenza per il candidato del Partito Democratico, Lee Jae-myung, vincitore di queste presidenziali.
È un divario netto che contraddice la consolidata credenza secondo cui le generazioni più giovani sarebbero più progressiste di quelle dei propri genitori o nonni.
Già nel gennaio 2024, l’analista del Financial Times John Burn-Murdoch aveva mostrato in alcuni grafici come la forbice si stia ampliando sempre di più in Regno Unito, Germania, Stati Uniti e, a capofila, Corea del Sud.
In questi anni, ricercatrici e giornaliste non hanno faticato a chiamare quella attualmente in corso nel paese una vera e propria “guerra di genere”. Le elezioni di martedì 3 giugno non sembrano segnare un’inversione di tendenza, tutt’altro.
Benvenute e benvenute nella puntata #48 di Japanica. Come preannunciato all’inizio di quest’anno, ogni tanto può succedere che la newsletter esca fuori dai confini del Giappone per raccontare altri fenomeni o eventi rilevanti nell’area dell’Asia Pacifico. Questo è uno di quei casi.
La vittoria di Lee Jae-myung
Dopo sei mesi di delirio politico in una crisi democratica che ha messo a dura prova le istituzioni del paese, la fase emergenziale pare essersi ormai chiusa con la vittoria del democratico Lee Jae-myung.
Volto dell’opposizione all'ex presidente Yoon Suk-yeol, che a dicembre aveva provato a fare il colpo di mano proclamando la legge marziale, Lee è diventato molto noto anche all’estero grazie a una diretta che ha girato lui stesso la sera del tentato golpe. Nel video si vede Lee scavalcare le recinzioni dell’Assemblea nazionale per entrare in aula e bloccare con gli altri deputati la legge marziale, invitando le persone a riunirsi e manifestare di fronte al parlamento.
Cresciuto a Seongnam, città alle porte di Seoul conosciuta come zona in cui vennero trasferite tutte le persone sfrattate dalle baraccopoli della capitale, Lee inizia a lavorare all’età di 13 anni in fabbrica. In uno degli infiniti turni da dodici ore a cui è sottoposto, si infortuna utilizzando un macchinario per produrre guanti da baseball: il braccio sinistro gli rimane incastrato sotto una pressa che lo invaliderà a vita.
Riprende gli studi alle lezioni serali, riuscendo ad accedere all’università per studiare legge. Supera l’esame che lo abilita alla professione di avvocato, e da lì la carriera è un conseguimento di successi (sul percorso di Lee c’è questo bel profilo tracciato dal corrispondente del LA Times).
Oggi, il neo-presidente ha il compito di riunire un paese profondamente diviso dal punto di vista politico ed economico, in un contesto internazionale del tutto incerto con Trump alla Casa Bianca.
Una delle fratture più profonde è proprio quella della questione di genere, e seppur Lee a questa tornata si sia ben visto dal farne diventare un tema da campagna elettorale, nel 2022 Yoon lo aveva sconfitto con un margine residuale anche perché aveva saputo cavalcare la misoginia dilagante tra i giovani maschi.
Ad aiutarlo tre anni fa Lee Jun-seok, figura chiave della maschiosfera sudcoreana, che in queste elezioni ha corso alla guida del Partito Riformista posizionandosi terzo con quasi il 9% dei voti.
Ma andiamo con ordine.
Come nasce la “guerra di genere”
In uno studio molto esaustivo di Kyunja Jung pubblicato su Science Direct, l’autrice ripercorre le concause che hanno contribuito ad alimentare il risentimento degli uomini verso le donne in Corea del Sud.
Il punto di svolta per la società e l’economia coreana è il 1998 e la crisi finanziaria. Le politiche neoliberali adottate negli anni a seguire traghettano il paese verso un tipo di società ipercompetitiva e capitalista. A fronteggiare maggiormente la precarietà del lavoro e le insicurezze sociali sono proprio i giovani maschi che fanno sempre più fatica a ricoprire quei ruoli tradizionali che li vorrebbero padri di famiglia e “protettori” andando a impattare, scrive Kyunja, la loro “ricerca di mascolinità egemonica”.
Negli anni vengono coniate diverse espressioni per riferirsi alle generazioni che sempre più non si sposano, non fanno figli, non comprano una casa e via dicendo: il nome è generazione N-po dove al posto della N viene usato il numero delle cose a cui i giovani “rinunciano”.
Per sampo sedae, ad esempio, ci si riferisce a chi ha ha abbandonato l’idea di frequentarsi con altre persone, sposarsi e fare figli; per opo sedae, invece, le cose a cui la persona rinuncia sono cinque (opo sta per cinque): quelle già citate più la proprietà di un immobile e le relazioni.
Scrive Kyunja Jung:
In questo contesto, i giovani uomini spesso si percepiscono come vittime del femminismo. Tendono a credere che il modello neoliberale presupponga l’uguaglianza di genere, di conseguenza le politiche di contrasto agli squilibri di genere – come la creazione di un Ministero per le Pari Opportunità – possono alimentare un sentimento di vittimizzazione tra gli uomini.
La misoginia diventa una valvola di sfogo alla loro frustrazione e un modo per far fronte alla crisi di mascolinità. All’interno di una società neoliberista cercano il capro espiatorio nelle donne invece di individuare le cause [del loro malcontento] nelle politiche economiche. Di conseguenza, i discorsi misogini proliferano sia online che offline.
La piattaforma su cui sono confluiti molti giovani maschi a partire dagli anni Dieci è Ilbe, un sito di estrema destra spesso paragonato a 4chan per l’utilizzo di un linguaggio violento e offensivo senza alcun tipo di moderazione. È qui che le donne vengono rinominate put*ane kimchi perché “sceglierebbero selettivamente” gli uomini sfruttandoli sessualmente al fine di ottenere dei vantaggi (argomentazione tipica nella maschiosfera). L’incitamento alla violenza si ripete anche con l’utilizzo di immagini frequenti come quello del bojeonkkae, l’atto di “conficcare una lampadina per poi mandarla in frantumi nella vagina di una donna”.
Questo tipo di retorica – a cui le donne hanno risposto con Megalia, un sito su cui gli insulti vengono rispediti al mittente ‘specchiandoli’ – è stato alimentato da youtuber con centinaia di migliaia di follower, come anche dalla politica.
Lo stratega della misoginia
C’è un momento in particolare in cui la narrazione dei giovani maschi come vittime di un sistema che prende le parti delle femministe cattive (la Corea del Sud è sempre ultima o penultima tra i paesi dell’OCSE per gender gap) si fonde con la politica mainstream. O meglio, c’è una persona che riesce a trasformare il risentimento di molti maschi under 30 in voti elettorali.
Lee Jun-seok, classe 1985 e una laurea a Harvard, mette per la prima volta piede nella politica nazionale all’età di 26 anni. Nel 2011 diventa il capo della comunicazione social per la conservatrice Park Geun-hye, che diventerà di lì a due anni presidente della Corea del Sud (anche lei rimossa poi con una procedura di impeachment nel 2017).
Lee prova per due volte a candidarsi per l’Assemblea Nazionale nel suo distretto di origine, nel 2016 e nel 2020, fallendo. Nel frattempo, si sposta nel neo-gruppo conservatore del Partito del potere popolare (PPP), dove lavora insieme ai sindaci di Seoul e Busan sempre a capo della comunicazione: il suo contributo sarà decisivo per vincere in entrambe le città.
A Seoul, nel 2020, il 73% dei maschi ventenni ha votato per il PPP. In un’intervista al settimanale Donga, Lee commenterà così la vittoria nella capitale: “chiedi a qualsiasi ventenne maschio per strada perché ha difficoltà a trovare lavoro, e ti diranno tutti che è per colpa del femminismo”.
In altre occasioni, Lee ha anche dichiarato che la “presunta discriminazione a cui sono sottoposte le donne non sarebbe altro che conseguenza di una mentalità vittimista dai presupposti infondati”. La Commissione per i Diritti Umani coreana si è pronunciata classificando la frase come discorso d’odio.
Lee si è scagliato poi contro le avvocate che seguono casi di femminicidio, accusandole di stereotipare tutti gli uomini e di utilizzare una “demagogia” analoga a quella razzista e antisemita, dove i discriminati – ancora una volta – sono gli uomini.
Non da ultimo, Lee Jun-seok è stato l’uomo decisivo alle elezioni del 2022 per la vittoria di Yoon, riuscendo a capitalizzare ancora una volta i voti negli under 30. Forte di tutti questi successi pregressi, martedì 3 giugno Lee si è presentato come candidato alle presidenziali con il Partito Riformatore: con l’8,34% Lee ha totalizzato quasi 3 milioni di voti.
E qui torniamo al punto da cui siamo partite.
Se andiamo a sommare le percentuali di voto del PPP con quelle del Partito Riformatore otterremo il 49,49%. Lee Jae-myung del Partito Democratico è stato votato dal 49,42% della popolazione votante. Inoltre, come fa notare Kap Seol su Jacobin, se escludiamo le due province sud-occidentali roccaforti dei democratici, Lee è sopra al PPP di soli 26mila voti.
Insomma, nonostante tutto la vittoria rimane fragile.
In questo momento la Corea del Sud è un paese dove non per tutti il tentato colpo di stato di Yoon, a dicembre, ha rappresentato la stessa gravità e la stessa minaccia per le istituzioni democratiche del paese. Per diverse settimane un folto gruppo di sostenitori ha fatto scudo intorno alla residenza dell’ex presidente per impedire che venisse arrestato dalla polizia utilizzando slogan d’oltreoceano come “Stop the steal” e poi, sempre in inglese “Reset Korea, Yoon Again!”.
A pochi chilometri di distanza, l’altra metà del paese chiedeva la conferma dell’impeachment armata di stick luminosi e cantando a squarciagola pezzi K-pop. A guidare questa piazza c’erano soprattutto donne tra i venti e i trent’anni. Le stesse che martedì sono andate ai seggi a votare Lee Jae-myung, e non proprio perché il candidato democratico si sia rivolto a loro durante la campagna elettorale.
Le attiviste del Korea Women’s Political Network sostengono che Lee abbia ignorato volutamente tematiche legate alla questione di genere proprio per non essere danneggiato alle urne.
In un contesto internazionale profondamente scosso dalle politiche tariffarie di Trump e una società polarizzata come dimostrano i risultati elettorali, la cosa più semplice che Lee si troverà a fare in questo mandato presidenziale è stata proprio vincere.
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Onestamente mi lascia perplesso che Megalia sia considerato un sito “che fa specchio riflesso” e non un sito d’odio misandrico, come pure tra le altre cose che non si accenni ad esempio alla lunga ferma militare obbligatoria solo per gli uomini .