La strana ossessione di Luigi Mangione per il Giappone
Il 26enne, presunto autore dell'omicidio del CEO della United Healthcare, aveva condiviso nei mesi precedenti all'evento un piano per contrastare la denatalità.
C’è una sorta di ossessione condivisa che tiene insieme molte persone appartenenti al settore tech e che ritroviamo già in uno Steve Jobs poco più che ventenne: quella per il Giappone, ovviamente.
E attenzione: non è la reverenza per il paese nel quale è nata la rivoluzionaria e innovatrice Sony – o almeno non è solo questo.
In una foto che ritrae un giovane Steve Jobs poggiato su uno dei primi prototipi di Mac, l’immagine scelta per il display è una stampa su legno dell’artista di fine Ottocento Goyō Hashiguchi dal titolo La donna che si pettina i capelli.
Potremmo dire che è una fascinazione che nasce spesso e volentieri con l’immaginario tecnologico degli anni Ottanta e Novanta, ma che si combina poi anche con l’estetica zen o la meditazione buddhista.
Questo tipo di percorso lo ritroviamo anche nel profilo di Luigi Mangione, il ventiseienne che la mattina del 4 dicembre ha presumibilmente ucciso Brian Thompson, amministratore delegato del colosso assicurativo statunitense United Healthcare.
La vicenda di Mangione ha diversi livelli di lettura e negli scorsi giorni sono usciti articoli e analisi che credo valga davvero la pena leggere. Di quelli in italiano, consiglio: Alessandro Colombini su Tempolinea; Leonardo Bianchi su Complotti!; Francesca Cicculli su Muckrakers di Irpimedia; Simone Pieranni nel podcast Fuori da Qui.
Personalmente, mi concentrerò su alcune delle idee che Mangione aveva condiviso sul suo profilo X dopo aver trascorso un breve soggiorno in Giappone. E su come, secondo lui, il paese avrebbe dovuto far fronte alla crisi demografica nel paese.
Benvenute e benvenuti alla puntata #30 di Japanica.
Uno strano piano per il Giappone
Nell’aprile scorso, Mangione esordisce in un post così: “l’ambiente urbano giapponese è incompatibile con la specie umana”. E poi prosegue: “La soluzione alla denatalità non è l’immigrazione. È [di tipo] culturale”.
Ora, è da quando ho aperto questa newsletter che mi riprometto di fare la puntata (o più) sulla questione demografica. È un tema enorme che richiede la giusta dose di approfondimento, anche perché è dal 1973 che i tassi di natalità sono in calo nel paese.
Le amministrazioni locali hanno proposto di tutto in questi anni, tra incentivi per le coppie a sposarsi e fare figli/e fino ad arrivare a app di incontri come quella sviluppata dalla città metropolitana di Tokyo. I governi hanno dovuto rivedere anche le politiche migratorie per allentare le barriere d’ingresso (sulle violazioni dei diritti delle persone migranti in Giappone - ancora una volta - Simone Pieranni su Altri Orienti).
Insomma: la questione è complessa e articolata, ma riducendola all’osso il problema di fondo è sempre uno. Finché l’accudimento di figli/e peserà quasi esclusivamente sulle spalle delle madri all’interno di una concezione patriarcale della famiglia e in una società dove garantire un livello alto di istruzione è costoso, le donne sceglieranno sempre più una vita senza figli/e.
Per tutto il periodo di crescita economico tra gli anni Settanta e Ottanta, terminata l’università le donne giapponesi lavoravano qualche anno per poi ritirarsi, poco più che ventenni, in casa per dedicarsi esclusivamente alla famiglia. Con la speranza, forse, di rientrare in futuro in qualche azienda con un contratto part-time.
Oggi, questa via non è più percorribile. Eppure, invece di intervenire strutturalmente su servizi sociali e orari di lavoro che alleggeriscano il lavoro di cura delle madri, che contribuiscano a distribuire le mansioni con i padri e che contrastino lo stigma nei confronti delle donne single, i governi continuano a proporre politiche inefficaci basate su ricompense estemporanee.
Andiamo a vedere ora, punto per punto, le soluzioni proposte da Luigi Mangione.
Abolire i sex toys maschili e la pornografia accessibile anche in grosse catene di discount come il Don Quijote: non esiste alcuno studio che dimostri come l’utilizzo di sex toys abbia qualche tipo di impatto sulla denatalità. Piuttosto, vari sondaggi segnalano come molte persone giapponesi siano sempre meno interessate al sesso.
Sostituire nei ristoranti le macchine automatiche e i nastri trasportatori con persone in carne e ossa per ristabilire il contatto umano: chiunque sia stato in Giappone si sarà reso conto della quantità di locali in cui si può mangiare a tutte le ore del giorno e della notte. Le locande sono per lo più posti molto piccoli dove chi gestisce l’attività è anche chi cucina. Quella di avere le casse automatiche all’entrata è un’esigenza che velocizza e facilita il lavoro.
Sostituire i locali dove si organizzano le competizioni di e-sport con l’atletica nella scuola: gli istituti scolastici prevedono già nei loro programmi corsi di atletica, baseball o altro. Il Giappone è tra i paesi con il più basso tasso di obesità: 4,5% contro il 42% della popolazione americana. È la terra che non ha bisogno del farmaco Ozempic.
Stigmatizzare i maid café dove salaryman solitari pagano giovani ragazze vestite come un personaggio di un anime per eseguire coreografie: nella puntata #20 di questa newsletter mi ero occupata della sessualizzazione delle minorenni e degli enormi ritardi nell’innalzare l’età del consenso, dopodiché i maid café sono per lo più trappole per turisti occidentali posizionati in quartieri come Akihabara.
Ritornare alla cultura tradizionale giapponese (shintoismo, karate di Okinawa, onsen): come ha commentato Jay Allen su Unseen Japan, un tale connubio c’è stato durante la Restaurazione Meiji e non è finita bene considerando che è sfociata nella Seconda Guerra Mondiale. Fortunatamente, si è deciso di dividere il potere politico dallo shinto. Considerare poi qualcosa dell’arcipelago di Okinawa come proprio del Giappone è offensivo per gli abitanti nativi di un territorio che ha sofferto a lungo la colonizzazione dei giapponesi. Per quanto riguarda gli onsen, queste strutture termali tradizionali sono luoghi ancora molto frequentati che non hanno bisogno di alcuna campagna basata sul “ritorno alle origini”.
Una società di automi dove ritrovare se stessi
Proprio nei giorni in cui è in vacanza in Giappone, Mangione intrattiene uno scambio e-mail con Gurwinder Bhogal, autore di una newsletter molto seguita su Substack. Dagli screenshot diffusi su X dallo stesso Bhogal, Mangione definisce il Giappone come un “NPC-ville”. NPC è un termine preso in prestito dai videogiochi e acronimo di “non-player character”, ovvero tutti quei personaggi secondari che non si comandano direttamente.
Parafrasando, quindi, per Mangione donne e uomini giapponesi sono automi che rispondono a un codice di programma e che “mancano di volontà propria”.
Però ehi, che bello attraversare i villaggi montuosi a petto nudo e ritrovare se stessi in Oriente meditando.
Dato che lo pseudo-spiritualismo degli Occidentali che vanno in pellegrinaggio in Oriente per ristabilire la pace interiore mi fa letteralmente impazzire, concludo dicendo che il profilo di Luigi Mangione, cresciuto – giustamente – a videogiochi e Pokemon, è la dimostrazione, ancora una volta, di come il Giappone venga trasformato spesso in una cartina di tornasole su cui proiettare le nostre angosce e i nostri sogni, ignorando totalmente i desideri e le necessità di chi, quel luogo, lo vive con tutte le difficoltà del caso ogni giorno.
Se ti è piaciuta Japanica, condividila con chi vuoi e dove vuoi. Quelle precedenti sono consultabili nell’archivio.
Per rispondere a questa email, proporre una collaborazione o suggerirmi un tema per la newsletter rispondi a questa email o scrivimi a eleonorazocca3@gmail.com. Mi trovi anche su Instagram, Bluesky e TikTok.
C’è una vera tradizione di questa robaccia, in varie declinazioni.
"lo pseudo-spiritualismo degli Occidentali che vanno in pellegrinaggio in Oriente per ristabilire la pace interiore mi fa letteralmente impazzire" => you and me both, sorella 😂💙
Non ho ancora terminato la lettura ma ho sentito come una comunione di smadonne leggendo questa frase.
Molti cuori