Perché ci sono poche macchine statunitensi in Giappone
Trump accusa Tokyo di non importare automobili americane, peccato che gli Stati Uniti non abbiano mai prodotto macchine in grado di soddisfare le esigenze del mercato giapponese.
Come spesso accade a Tōkyō, per raggiungere i posti più buoni in cui mangiare bisogna scendere nei sottopassi della metro, fare molte scale o perdersi nei piani di alti edifici fino a quando non si trova il ristorante che si sta cercando.
È così anche per il Sukiyabashi Jiro, locale da soli dieci posti del sushi chef Jiro Ono, che si trova al piano B1 di un edificio vicino alla metro di Ginza, il quartiere del lusso di Tōkyō, e che propone uno dei più raffinati menù omakase della città.
Una sera di fine aprile del 2014, lo chef - oggi quasi centenario - accoglie due ospiti d’eccezione: il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e il suo omologo giapponese Shinzo Abe. I due si trovano in un sottopasso come tanti altri, davanti la porta in legno scorrevole sovrastata dal grande noren color blu notte.
Obama saluta Abe chiamandolo per nome, “Shinzo”, mentre il primo ministro giapponese gli risponde in inglese: “How are you?”. Dopo una stretta di mano a favore di camera, i due entrano nel locale riservato da giorni solo a loro e ai più stretti collaboratori.
“Sapevo fosse un amante della cucina giapponese, in particolare del sushi”, spiegherà poi alla stampa il premier giapponese. E, per il presidente americano, Abe ha scelto il meglio: un sushi chef dall’esperienza decennale che dal 2008 sino al 2019 ha detenuto tre stelle Michelin.
I due avviano così le discussioni per il Trans-Pacific Partnership (TPP), l’accordo per il libero commercio fra dodici nazioni - che verrà siglato poco più di un anno dopo - che vedeva gli Stati Uniti e il Giappone tra gli attori principali del negoziato.
Insomma, la diplomazia del sushi è un successo.
Di quella sera c’è però uno scambio di battute tra i due presidenti che, alla luce dei fatti di oggi, vale la pena recuperare.
“Sulla strada per venire qui”, chiede Obama a Abe, “non ho notato neanche una macchina della General Motors (GM) o della Ford. Forse perché il mercato giapponese è chiuso?”.
Alla domanda, riporta il Sankei shimbun, Abe risponde così: “Ci sono diverse macchine tedesche come le BMW e le Mercedes sulle nostre strade. E questo perché l’Europa ha fatto uno sforzo per inserirsi nel mercato giapponese, producendo ad esempio veicoli con la guida a destra”.
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Dazi amari
È stata una settimana intensa per i mercati, e non è finita qui: nel momento in cui scrivo sono stati sospesi per 90 giorni i dazi che Trump aveva imposto nel “Liberation Day”, ma rimangono in vigore quelli sulla Cina al 145% - che a sua volta ha risposto con dazi sui prodotti americani al 125% - come anche quelli al 25% su automobili, alluminio e acciaio per tutti gli altri paesi.
I mercati di tutto il mondo hanno risentito della “politica economica” decisa da Trump calcolata dall’intelligenza artificiale, in particolare l’indice Nikkei che dal giorno dell’inaugurazione della nuova amministrazione americana è sceso di 12 punti percentuali, come si può vedere dal grafico realizzato dal giornale economico Nikkei Asia.
Ci sono diversi motivi per cui il mercato finanziario giapponese è il più colpito, e uno di questi ha a che fare con il fuso orario. Essendo il primo grande mercato azionario ad aprire la giornata, spesso è anche quello più influenzato dagli sviluppi del fine settimana o dalle dichiarazioni rilasciate durante la notte alla Casa Bianca.
Come spiega poi un gestore di fondi sempre a Nikkei Asia, “Il Giappone è il mercato più liquido su cui è facile vendere allo scoperto, ed è il mercato che viene utilizzato quando si ha una visione negativa di come andranno le cose in Asia dal punto di vista economico”.
Inoltre, il Giappone ha un’economia che si basa soprattutto sulle esportazioni e quando lo yen si rafforza rispetto al dollaro - come in questi giorni - gli investitori tendono a vendere le azioni di società esportatrici nel settore manifatturiero, dell’automotive e tecnologico.
Le bugie di Trump
Nel discorso di quasi un’ora fatto a inizio aprile nei giardini della Casa Bianca, durante il quale il presidente degli Stati Uniti ha annunciato dazi “reciproci”, Trump è tornato a parlare anche di automotive: “Toyota vende 1 milione di automobili assemblate all’estero negli Stati Uniti, General Motors quasi nessuna. Anche Ford vende molto poco”. Secondo la visione di Trump, “a nessuna delle società produttrici americane è concesso esportare” per colpa di restrizioni che il Giappone e altri paesi imporrebbero agli Stati Uniti.
Trump ha anche rincarato la dose con un post su Truth Social: “Non comprano le nostre macchine, mentre noi acquistiamo MILIONI delle loro! (They don’t take our cars, but we take MILLIONS of theirs!”).
Anche il capo dello staff, Stephen Miller, ha insistito sullo stesso punto: “Perché le strade degli Stati Uniti sono piene di macchine europee e giapponesi, mentre sulle loro non c’è neanche un’automobile americana seppur gli garantiamo la difesa e la sicurezza?”. E poi prosegue: Paesi come il Giappone “hanno chiuso il proprio mercato alle nostre macchine, mentre il nostro mercato è invaso dalle loro [automobili]”.
Come ha scritto Gearoid Reidy su Bloomberg, è vero che General Motors (GM) e Ford vendono molto poco in Giappone - lo scorso anno GM ha venduto solo 1000 unità mentre Ford meno di 200 - ma il motivo è molto semplice: le società americane producono macchine che non rispondono alle esigenze dei giapponesi.
Per intenderci: un terzo delle macchine vendute in Giappone è costituito dalle kei jidōsha, ovvero macchine compatte e leggere molto competitive sul mercato anche per via di alcune agevolazioni fiscali.
Mentre un qualsiasi modello della serie Ford-150, si legge sempre su Bloomberg, è talmente grande che non si potrebbe guidare neanche con la patente di guida standard.
Ma poi: vi immaginate un pick-up parcheggiato così?
Se metà del mercato automobilistico giapponese è in mano a Toyota, i dati di vendita di case di produzione tedesche come Mercedes, BMW e Volkswagen dimostrano come non ci sia nessun mercato giapponese chiuso alle importazioni estere.
Qualsiasi tipo di dazio sulle auto di importazione straniera è stato cancellato nel 1978, mentre la tassa attuale ammonta al 2,5% — molto diverso dal 25% imposto da Trump.
Ishiba sarà in grado di trattare?
Non è difficile immaginare l’attuale primo ministro Ishiba Shigeru tirare un sospiro di sollievo nel momento in cui è arrivata la notizia della sospensione dei dazi “reciproci” che per il Giappone erano previsti del 24%. Il problema, però, su automobili e acciaio resta.
Secondo un rapporto della banca di investimento UBS Securities, le nuove tariffe potrebbero far perdere alle cinque principali case automobilistiche giapponesi 25 miliardi di dollari all’anno. La metà di questi peserebbero sulla sola Toyota.
In un intervento del 4 aprile alla Dieta, il parlamento nazionale, Ishiba aveva definito la situazione una “crisi nazionale” da affrontare in modo unitario insieme alle opposizioni.
Come ha sottolineato lo stesso Ishiba in una chiamata degli scorsi giorni a Trump, il Giappone è stato “il più grande investitore negli Stati Uniti per cinque anni consecutivi e le politiche tariffarie comporterebbero un enorme danno per le aziende giapponesi” che contribuiscono invece al settore manifatturiero statunitense.
Ishiba ha anche nominato una task force che avrà il compito di trattare con l’amministrazione Trump. A capo ci sarà il ministro dell’Economia Akazawa Ryosei, che già dalla settimana prossima dovrebbe andare in visita negli Stati Uniti per le prime consultazioni.
La minaccia dei dazi mette ancora più in difficoltà il premier Ishiba che già nelle scorse settimane aveva visto i tassi di consenso scendere sensibilmente per via dello scandalo (l’ennesimo per il PLD) che lo ha colpito: all’inizio del suo mandato, infatti, Ishiba avrebbe distribuito buoni regalo da circa 700 euro ai neodeputati del suo partito.
Ma c’è qualcuno in grado di trattare con Trump meglio di quanto potrà fare Ishiba? È la domanda che si pone il Japan Times in una recente analisi.
All’interno del partito Liberaldemocratico i rivali Takaichi Sanae e Kobayashi Takayuki, che hanno messo in dubbio le capacità di leadership di Ishiba, non possono vantare in realtà rapporti personali migliori con il presidente americano.
L’unica figura di spicco è quella dell’ex Segretario del PLD, Toshimitsu Motegi, definito dallo stesso Trump “un negoziatore tosto”, visto il trascorso di Motegi da capo delegazione nell’accordo commerciale tra Stati Uniti e Giappone siglato sotto la prima amministrazione Trump. Con il dissolversi delle correnti, però, anche Motegi ha visto ridimensionarsi di molto il sostegno interno al PLD.
Un cambiamento repentino al vertice, conclude il Japan Times, qualunque siano i risultati delle elezioni per la Camera Alta che si terranno a luglio, renderebbero difficile se non impossibile a un nuovo primo ministro avere una conversazione immediata con Trump.
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Puntata curiosa, interessante, a tratti divertente, sempre originale, riflesso della complessità della realtà. Con tante chicche, argomentazioni e conoscenze nuove. D’altronde tutte le puntate sono IMPERDIBILI!