Dalla vaporwave alle backrooms: quanto Giappone c'è nelle estetiche di internet
Conversazione con la storica dell'arte e curatrice Valentina Tanni sulle influenze nipponiche nelle sottoculture della rete, a partire dal suo libro "Exit reality".
Prima di cominciare: se siete al computer o avete delle cuffiette a portata di mano, aprite youtube e cercate Macintosh Plus. In cima ai risultati dovrebbe comparirvi un’immagine dai colori rosa pastello, una grande testa marmorea risalente all’età classica, una scritta verde acqua con caratteri giapponesi, un pavimento a scacchi e infine un riquadro con uno skyline di grattacieli al tramonto.
È la copertina di uno degli album manifesto della vaporwave, ovvero quello che potremmo identificare il primo movimento online che “trasmette le sensazioni del vivere su internet”. L’album si chiama Floral Shoppe (in giapponese フローラルの専門店, Furōraru no senmonten) ed è stato composto dalla produttrice americana Ramona Andra Xavier con lo pseudonimo Macintosh Plus.
Benvenutə alla puntata #12 di Japanica.
Cosa sono le estetiche di internet
“Exit Reality” è un libro pubblicato recentemente dalla casa editrice Nero. L’autrice, Valentina Tanni, è una storica dell’arte e curatrice che, sin da quando i primi modem sono comparsi nelle case, ha trascorso online una quantità di tempo incalcolabile:
“il vero nucleo della mia dipendenza da internet è il piacere di sentire questo brulicare del mondo, di percepire la presenza degli altri, di lasciarmi sorprendere dalla complessità dei comportamenti, delle parole, dei suoni e delle immagini che ogni minuto si riversano in rete.
Valentina Tanni ha la capacità di sistematizzare e fare ordine in quella dimensione digitale le cui estetiche - ma non solo - ci influenzano profondamente. E lo fa ricorrendo ad una metodologia analitica, accurata e quasi antropologica per la ricchezza di fonti che raccoglie. Il Giappone non è il tema centrale di “Exit Reality”, ma i riferimenti alla cultura nipponica sono talmente tanti che era impossibile ignorarli. Per questo ho deciso di raggiungere Valentina Tanni e parlarne direttamente con lei.
Valentina Tanni, una quindicina di anni fa prende forma la prima estetica di internet: la vaporwave. Che cos’è?
La vaporwave è la prima estetica nata online con l’idea di trasmettere le sensazioni del vivere su internet. Si sviluppa come movimento musicale prima ancora che visivo. Nasce dalla prima generazione di persone cresciute su internet, il che genera tutta una serie di immaginari legati alla tecnologia del passato: c’è molta nostalgia degli anni Ottanta e Novanta, i decenni in cui queste persone erano bambine o adolescenti. La vaporwave deriva poi da una riflessione: gli anni Dieci sono un momento nel quale si inizia ad avere la netta sensazione che molte delle promesse tecnologiche non siano state mantenute. La tecnologia non è di per sé portatrice di benessere, ma contiene anzi un lato oscuro.
La vaporwave è disseminata di elementi legati al Giappone, quali sono i più ricorrenti?
Ci sono tantissimi riferimenti, soprattutto alla scrittura. Moltissimi artisti in copertina usano il nome parzialmente in giapponese. Ci sono poi anche elementi che curiosamente sono storici, come le stampe in stile ukiyo-e, gli elementi calligrafici e i ciliegi in fiore. Elementi moderni e del passato coesistono in maniera interessante. C’è una vena di esotismo, un po’ come succedeva nell’Ottocento quando le stampe giapponesi influenzavano il lavoro degli impressionisti.
Nel libro scrivi che la presenza dell’iconografia giapponese è un chiaro riferimento alla posizione di avanguardia che negli anni Ottanta e Novanta il paese nipponico rivestiva in fatto di ricerca tecnologica. Parli di tecno-orientalismo. Cosa vuol dire?
Il tecno-orientalismo è un aggiornamento dell’orientalismo per come lo conosciamo [spiegato da Edward Said], dove i riferimenti storici ai ciliegi o alle stampe si sostituiscono agli elementi che sono relativi all'immaginario giapponese contemporaneo iper-tecnologizzato. Un immaginario che da un lato è promosso dal Giappone stesso, dall’altro è una trasformazione dei nostri miti sull’Oriente, quelli che costruiamo dal nostro punto di vista. Se pensiamo alla fantascienza cinematografica, l’esempio più immediato è sicuramente quello di Blade Runner. Questo avviene perché il Giappone è un posto che di per sé già evoca il futuro anche se è un luogo a noi contemporaneo. Permette un senso di sfasamento temporale.
“Il pachinko e i videogiochi sono semplicemente gli equivalenti postmoderni dello zen e del kabuki. Come le forme “tradizionali” della cultura giapponese, anch’essi incarnano l’essenza esotica, enigmatica e misteriosa del particolarismo giapponese. Ciò è evidente nella romanticizzazione postmoderna del Giappone come spazio a metà tra il reale e l’immaginario”.
(David Morley e Kevin Robins, Spaces of Identity (1995)
Nella vaporwave, gli scenari giapponesi visti sotto la lente del tecno-orientalismo sono molto presenti e ricorrono spesso in chiave nostalgica: le console della Nintendo o di altri marchi, i videogiochi, i joystick, le televisioni della Fuji… è un immaginario retro-futuristico, un futuro di fatto già invecchiato.
Il Giappone torna in qualche modo anche quando affronti il tema dei cosiddetti spazi liminali. Prendendo in prestito la definizione di Aesthetic Wiki, gli spazi liminali sono quei “luoghi di transizione tra due altri luoghi, o tra due stati dell'essere". L’esempio sicuramente più noto è quello delle backrooms, uno spazio vastissimo composto da stanze tutte uguali in cui rimani intrappolato. Un’idea che trova le sue radici, o perlomeno una delle interpretazioni più riuscite, nel manga Blame!.
Sì, Blame! (1998-2003) è un manga scritto e disegnato dal giapponese Tsutomu Nihei. È una storia ambientata in un futuro distopico dove gli esseri umani perdono il controllo della tecnologia. Le macchine costruiscono incessantemente in maniera completamente illogica creando uno spazio su più livelli e potenzialmente infinito. È un’architettura ostile, uno spazio non a misura d’uomo, dove le macchine cercano di eliminare la presenza umana. È un labirinto non solo complicato da navigare, ma che continua ad autogenerarsi.
Un luogo dove se non stai attento “noclippi” al di fuori della realtà…
Nei videogiochi il noclipping è quella funzione che quando viene attivata ti permette di attraversare i muri o passare attraverso gli altri personaggi, ti permette sostanzialmente di ignorare la fisica. In alcuni casi ti porta nel rovescio dell’ambiente nel quale ti trovi: sei fuori, sospeso, in un punto in cui la mappa è finita. Nel primo meme delle backrooms che dà vita a tutta la mitologia, la persona che scrive la didascalia usa questo termine e dice: “se non stai attento e noclippi nel punto sbagliato della realtà finisci nelle backrooms”. Le backrooms sono questo rovescio del mondo: stanze sul retro, non luoghi, spazi laterali. Non viene spiegato a cosa devi stare attento, è un fatto accidentale. Ed è un po’ parte del fascino di questo mito: pochi dettagli assolutamente capaci, però, di agganciarsi con le profondità dell’inconscio. Evoca tutta una serie di paure antiche, perché dal labirinto, da un luogo potenzialmente infinito, non sai se ne uscirai mai.
The Backrooms (Found Footage) diretto dal sedicenne Kane Parsons – a.k.a. Kane Pixels – pubblicato sul suo canale YouTube il 7 gennaio 2022
Arriviamo al traumacore. Che cos’è e perchè Hello Kitty prende ancora una volta il sopravvento?
Il traumacore è un’estetica che, come dice la parola stessa, è legata esplicitamente al trauma. Nasce con l’obiettivo dichiarato di diventare uno strumento di elaborazione e condivisione. È un tipo di arte terapeutica che vuole usare le immagini soprattutto per sfogarsi, per raccontare le proprie esperienze negative ed elaborarle non solo singolarmente ma anche collettivamente. I traumi vengono collocati nell’infanzia e nella prima adolescenza, da qui tutta una serie di elementi che richiamano questi due periodi della vita: giocattoli, pupazzi, personaggi dei fumetti, camere da letto per bambini, reparti pediatrici, aule scolastiche ecc… In questo contesto si inserisce perfettamente Hello Kitty che, per qualche motivo, prende il sopravvento e diventa l’elemento più visibile di questi oggetti dell’infanzia. Il motivo, secondo me, è perché Hello Kitty è un personaggio che mantiene un sottofondo di ambiguità. Molti speculano sul fatto che non abbia la bocca - c’è anche un meme che dice proprio “come fai a urlare se non hai la bocca?”. È un personaggio apparentemente innocuo che può nascondere un aspetto oscuro: questa impossibilità di esprimere il disagio lo fa diventare il simbolo del trauma non risolto.
L’ultimo riferimento al Giappone che troviamo, ancora una volta legato al mondo dei videogiochi, è nell’estetica surrealista del weirdcore.
Sì, un importante precursore che viene citato spesso nei forum weirdcore come fonte di ispirazione è LSD Dream Emulator, un videogame per playstation pubblicato per il solo mercato giapponese nel 1998. Progettato da Osamu Sato come opera d’arte contemporanea, si tratta di un gioco sui generis, in cui non ci sono né obiettivi né punti: si può soltanto esplorare, spostandosi nello spazio e toccando oggetti. Le ambientazioni del gioco si ispirano ai luoghi descritti all’interno di un vero diario onirico, tenuto da Hiroko Nishikawa, una dipendente della casa produttrice Asmik Ace Entertainment, per ben dieci anni. Definito spesso come un “sogno giocabile”, LSD Dream Emulator mette efficacemente insieme per la prima volta il mondo dei sogni con quello delle esplorazioni interattive su schermo. È il caso anche di Yume Nikki (2004): la protagonista del gioco è una hikikomori che vive da sola nel suo appartamento, mentre il giocatore è impegnato nell’esplorazione dei suoi strani e intricati sogni.
Per concludere, tutte queste sottoculture e movimenti raccontano la necessità di esprimere la propria interiorità in un mondo estremamente frammentato.
Nonostante tutte le promesse della fantascienza, alla fine dobbiamo trovare sempre nuovi modi per portare le sensazioni e le emozioni dentro la rete. Perché se il linguaggio [verbale] è più restio a descrivere stati mentali, stando su internet abbiamo affinato nuovi modi - attraverso le foto, suoni e testi - per esprimere questi stati interiori.
Se il mondo diventa inconoscibile, la realtà ogni giorno più instabile e la verità un’utopia da abbandonare, l’unica strada percorribile è quella dell’autoesplorazione. Un’esplorazione che parte dai sensi, passa dai sogni e si estende nelle profondità della mente. In un certo senso, è la concretizzazione di quell’inner space di cui ha spesso parlato lo scrittore J.G. Ballard: “un regno immaginario in cui si incontrano e si fondono, da un lato, il mondo esterno della realtà e, dall’altro, il mondo interno della mente”.
Exit Reality, Valentina Tanni