Il filosofo che sta rendendo cool Marx
Il bestseller su capitalismo e crisi climatica del marxista Saitō Kōhei che ha venduto più di mezzo milione di copie solo in Giappone è arrivato anche in Italia.
Cosa state facendo per contrastare il riscaldamento globale? Avete comprato la vostra sporta riutilizzabile per usare meno sacchetti della spesa? Andate in giro con la vostra borraccia personale per non dover comprare bevande in bottiglia di plastica? Adesso ce l’avete, una vettura elettrica? Diciamolo chiaramente. Tutte queste buone intenzioni non portano a niente. Al contrario, possono addirittura recare danno.
E la ragione è che nel momento in cui ci si convince di star facendo qualcosa per combattere il riscaldamento globale si smette di pensare di poter agire in maniera più radicale, cioè fare quanto sarebbe realmente necessario.
Inizia così il libro dal successo più inaspettato nel panorama editoriale giapponese: “Il capitale nell’Antropocene”. L’autore si chiama Saitō Kōhei, 37 anni, è professore associato di filosofia all’Università di Tōkyō ed è marxista.
Il testo è appena stato pubblicato in italiano da Einaudi, nella traduzione di Alessandro Clementi degli Albizzi, e pare sia arrivato anche sulla scrivania della segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, che proprio in questi giorni ha incontrato Saitō nella sede di Repubblica. L’autore si trovava in Italia per presentare il libro al festival di Internazionale, a Ferrara.
Pubblicato nel 2020 da una delle più grandi case editrici giapponese, Shueisha, “Il capitale nell’Antropocene” è diventato un best-seller vendendo più di mezzo di milione di copie, soprattutto tra i giovanissimi.
“Durante la pandemia - ha spiegato Saitō al festival di Internazionale - le persone hanno iniziato a cambiare il modo di vivere e si sono rese maggiormente conto delle contraddizioni del capitalismo: da un lato le disuguaglianze sociali e dall’altra il prezzo ecologico. Penso che questo sia uno dei motivi per cui il mio libro ha avuto tutto questo successo in Giappone, l’emergenza pandemica è stato un momento in cui le persone erano disposte a sentire nuove idee, ad accogliere un pensiero più radicale”.
Il libro di Saitō parla di decrescita e di relazione tra crisi climatica e capitalismo, basandosi su testi inediti scritti da Marx negli ultimi quindici anni di vita.
“Mi sono convinto – scrive Saitō nelle conclusioni – che il punto d’arrivo raggiunto da Marx verso la fine della sua vita sia stato il comunismo della decrescita, e che questo sia la via migliore per superare la crisi dell’Antropocene”.
[Per “Antropocene” si intende l’era nella quale ci troviamo adesso dove l’ambiente terrestre viene fortemente condizionato dagli effetti dell’azione umana].
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La trappola della crescita
Uno dei principali concetti che Saitō tratta nella prima parte del libro è quello della “società dell’esternalizzazione”. Riprendendo quanto teorizzato da Immanuel Wallerstein, si può dire che il capitalismo è costituito da un “centro” e una “periferia”, dove il centro sono i paesi ricchi e la periferia il cosiddetto Sud globale.
I paesi avanzati basano la propria ricchezza sul sacrificio del Sud globale, acquistandone i prodotti a prezzi stracciati e sfruttandone la forza lavoro. È in questo modo che il “centro” accumula sempre più profitto. Un profitto che le società avanzate proteggono allontanandone – esternalizzando – le ricadute del suo prezzo e rendendole di fatto invisibile.
In altre parole: materie prime, energia o alimenti vengono sottratti al Sud globale attraverso uno scambio ineguale. La natura rappresenta per il capitalismo solo un altro oggetto da depredare.
Un sistema così impostato, che insiste e persegue a tutti i costi una crescita economica illimitata, ha una sola conseguenza logica: la crisi climatica.
«Chi crede a una crescita esponenziale infinita in un mondo dalle risorse limitate o è fuori di testa, o è un economista, o è tutti e due».
Kenneth E. Boulding
A questo punto, Saitō passa in rassegna le teorie economiche degli ultimi decenni che, secondo lui, hanno tutte lo stesso problema comune: l’imperativo della crescita.
Anche un premio Nobel dell’Economia del calibro di Joseph E. Stiglitz, critico nei confronti di un processo di globalizzazione che si è spinto troppo oltre e di una squilibrata distribuzione della ricchezza che vede il mercato in mano a poche grandi imprese, commette lo stesso errore. Stiglitz reclama la necessità di aumentare i salari, di tassare le classi più abbienti e di rafforzare i divieti contro il monopolio all’interno dello stesso impianto economico: quello capitalista.
Lo stesso piano che ha raccolto molte speranze anche tra leader politici di sinistra come Bernie Sanders, Jeremy Corbin e Yanis Varoufakis, il Green New Deal, finisce per incastrarci nella trappola della crescita economica.
Attraverso incentivi fiscali su larga scala e investimenti pubblici per la diffusione di energie rinnovabili e vetture elettriche, si vogliono creare posti di lavoro stabili e altamente retribuiti, incrementare la domanda e stimolare così l’economia “verde”. Eppure, ancora una volta ci troviamo dentro a un’illusione: quella di poter disaccoppiare (decoupling) la crescita economica dall’impatto ambientale attraverso le nuove tecnologie.
Per dirla con le parole di Johan Rockström, ideatore del principio dei planetary boundaries – ovvero i limiti entro cui è possibile condurre in sicurezza le attività umane – è una perfetta «fuga dalla realtà».
Il futuro che ci aspetta
Che fare quindi? Di fronte a noi abbiamo quattro possibili scenari – spiega Saitō.
1. Fascismo climatico: il primo scenario è quello del perseguimento a tutti i costi dello status quo; aggrapparsi alla crescita economica e al capitalismo senza agire in nessun modo aggravando i danni del cambiamento climatico. Lo Stato farà di tutto per proteggere gli interessi delle classi privilegiate che avranno trovato il modo di mutare la crisi ambientale in un’occasione per fare profitti. Le minacce all’ordine rappresentate dalle vittime e dai profughi climatici verranno soffocate con la violenza dallo Stato.
2. Stato selvaggio: con l’aggravarsi dei disastri climatici e l’aumentare dei profughi climatici, la produzione alimentare non riuscirà più a tenere il passo. Nello scontro tra l’1 per cento delle classi abbienti e il 99 per cento degli altri avranno la meglio questi ultimi, che rovesceranno i regimi gettando la specie umana in una “guerra di tutti contro tutti” al solo scopo di sopravvivere.
3. Maoismo climatico: per cercare di ammorbidire il conflitto creato dalla forbice del reddito e dalle disuguaglianze sociali, si imporranno interventi dall’alto contro il cambiamento climatico. La fine del libero mercato e della democrazia segnerà la nascita di uno Stato assolutista e accentratore.
Il quarto scenario, che Saitō inizialmente indica con una sola X, è quello del comunismo della decrescita.
Il comunismo della decrescita salverà il mondo
Se uomo e natura sono collegati tra loro attraverso il lavoro, è proprio il lavoro e la relativa produzione che devono essere trasformate per sanare quella frattura metabolica creata dal capitalismo.
Il mondo trabocca di bullshit jobs, letteralmente lavori del cazzo. Pensiamo a tutti quei lavori che hanno a che fare con il marketing, la consulenza, il settore finanziario o quello assicurativo. Sono tutti impieghi ben remunerati che però non hanno alcuna utilità sociale. Come notava l’antropologo David Graeber, persino le persone direttamente coinvolte nei bullshit jobs non vedrebbero alcun problema se tali impieghi venissero eliminati.
Il capitalismo della decrescita pone l’attenzione sul lavoro di cura e assistenza, che non solo è poco inquinante ma include fasce di lavoratori che si oppongono alle logiche capitaliste (sempre Graeber parlava di “rivolta delle classi di cura”).
Saitō riporta un episodio avvenuto nel 2019 nella municipalità di Setagaya, a Tōkyō, dove una scuola materna ha improvvisamente dichiarato bancarotta e interrotto le sue attività. A quel punto educatori e educatrici, pur con tutte le incertezze del caso, hanno deciso di prendere in mano la situazione e gestire per conto loro la struttura. In questo modo hanno svelato la finzione: il lavoro di educazione di bambini e bambine poteva proseguire benissimo anche in mancanza di quei ruoli amministrativi che sembravano indispensabili, e soprattutto in assenza di quel profitto che aveva portato alla chiusura della scuola.
Questo è solo uno degli esempi che Saitō racconta nel libro per delineare una società che si riappropria dei commons (beni comuni) attraverso processi di solidarietà, partecipazione orizzontale e ribellione attiva che richiede la costruzione di alleanze tra ecofemministe, ambientalisti, movimenti anticoloniali, classe operaia e chiunque sia disposto a partecipare nell’abbattimento del capitalismo.
La lotta è una e va combattuta in modo unitario e intersezionale, come già dimostrano alcuni movimenti che stanno nascendo in tutto il mondo. Gli attivisti di Johannesburg che chiedono la chiusura degli impianti di estrazione del carbone del colosso Sasol, sanno che l’industria sta investendo anche negli Stati Uniti. Cercano così la solidarietà di Fridays for future, ma anche quella del movimento Black Lives Matter. Lo slogan, infatti, è lo stesso: “I can’t breath” (“Non respiro”).
Come ci insegna l’ultimo Marx, la vera alternativa sta nel disfarsi del capitalismo e attuare la decrescita, basata su solidarietà reciproca e autonomia, perché finché ci sarà il capitalismo non ci sarà giustizia climatica.
“Se durante la pandemia ero più ottimista - conclude Saitō al festival di Internazionale - quello che è successo dopo è che le élites si sono rese conto che la crisi climatica è ormai sempre più fuori controllo. Così, invece di trovare una soluzione lavorando insieme a attivisti e organizzazioni non governative, i governi hanno iniziato a reprimere le proteste. Sembrano molto più focalizzati a proteggere gli interessi di pochi e a preservare lo status quo. Questo purtroppo è il fascismo climatico”.
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Sempre a proposito di clima, un gruppo di sedici ragazze e ragazzi giapponesi ha avviato una causa giudiziaria (climate litigation) contro alcune delle più grandi aziende giapponesi per reclamare il proprio diritto alla salute minacciato dalle conseguenze estreme dei cambiamenti climatici. (in inglese su Nikkei Asia)
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Un bellissimo longform di Matt Alt sull’idea che ha preso piede ovunque – anche grazie al successo di Marie Kondo – che il Giappone sia un paradiso del minimalismo e dell’estetica controllata e ordinata. La realtà, però, è molto diversa e molto più disordinata di quanto ci si possa aspettare. (in inglese sul Guardian)
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Quindi ci sta che io mi senta un cretino a portare giù l'umido in pigiama, mentre un aereo in partenza da Orio mi sorvola sulla testa vanificando il mio lavoro di fino nel separare le bustine del tè zuppe dal filo con il cartoncino, per una differenziata di qualità.
Letto un po’ di tempo fa in inglese: davvero una rilettura interessante di Marx (e del marxismo tramandato da Engels)