Shiori Ito, la giornalista che ha fatto partire il #Metoo in Giappone
Nel documentario "Black Box Diaries", Ito racconta la sua vicenda personale per denunciare un sistema giudiziario assolutamente impreparato nell'affrontare casi di violenza sessuale.
Black box è la parola che Shiori Ito si è sentita dire in continuazione dal pubblico ministero negli anni in cui, con immenso dolore ma anche molto coraggio e tenacia, ha portato avanti la sua denuncia nei confronti del giornalista Yamaguchi Noriyuki che la notte del 3 aprile 2015 l’ha stuprata in una camera dello Sheraton Miyako Hotel, a Tokyo.
Una scatola nera che gli inquirenti, la polizia e le istituzioni giapponesi non hanno saputo – e voluto – aprire per via di leggi fuori dal tempo, connivenze e potere.
Finalmente ho potuto vedere il documentario Black Box Diaries di Shiori Ito1, considerata il volto del #metoo giapponese. Da giornalista, Ito si è chiesta se fosse giusto ribaltare la macchina da presa e diventare lei soggetto della storia.
Come ha spiegato in una recente intervista a Sky news, raccontare le enormi criticità del sistema giudiziario in materia di violenza sessuale dal suo punto di vista – che è quello di chi quel sistema l’ha subito – era prima di tutto un’operazione necessaria, visto il poco supporto ricevuto dagli altri media giapponesi, e per di più un tipo di narrazione consentita dal linguaggio documentaristico.
Riprendendo le parole pronunciate nella conferenza stampa del 29 maggio 2017, con cui Ito decise di rendere la sua storia di dominio pubblico: “se non parlo adesso, la legge non cambierà mai”.
Per la cronaca, la legge a cui faceva riferimento Ito in quella dichiarazione risaliva a più di cento anni prima.
Prima di cominciare, una comunicazione di servizio: per chi è Mantova e dintorni il prossimo 21 gennaio, al Cinema del Carbone sono previste due proiezioni – alle 18:15 e poi alle 21 – proprio di questo documentario. Avrò il piacere di introdurlo e di rispondere a qualche altra curiosità al termine della proiezione.
Black Box Diaries fa parte della rassegna di documentari “Mondovisioni” di Internazionale. Scopri qui gli altri cinema e le date in cui verrà distribuito.
Benvenute benvenuti alla puntata #33 di Japanica.
La vergogna deve cambiare lato
Nelle ultime settimane hanno risuonato ovunque le parole di Giséle Pelicot, che nella sua scelta di far diventare collettivo e aperto il processo nei confronti del suo ex marito Dominique Pelicot – che ha violentato e fatto violentare Giséle da decine di sconosciuti mentre la donna era incosciente – ha spiegato che “la honte doit changer de camp”. La vergogna deve cambiare lato.
Riascoltando, all’interno del documentario, la conferenza stampa del 29 maggio 20172 non potevo non pensare a queste parole. Anche perché Shiori Ito esprime un concetto molto simile.
A un certo punto, una giornalista chiede a Ito perché abbia scelto di mostrare il proprio volto, aggiungendo che “è raro in caso di stupro”. Shiori Ito risponde così:
“La tipica aspettativa della vittima è essere triste e debole, nascondersi e provare vergogna. Io non mi riconosco in questo modello. Non ho nulla da nascondere. Se non parlo adesso, la legge non cambierà mai. È per questo che ho deciso di espormi”.
La decisione di Ito non è una scelta semplice, tantomeno scontata in un paese come il Giappone dove i tassi di denuncia per molestie e violenza sessuale sono estremamente bassi. I motivi, guardando alla sua vicenda, appaiono davvero evidenti.
A farle da scudo per otto lunghissimi anni è anche la sua professione che le dà un metodo e un obiettivo:
“Dopo il fatto, in quanto giornalista, mi sono concentrata nella ricerca della verità. Non avevo altra scelta: se dovevo confrontarmi con me stessa in quanto vittima, ne sarei uscita mentalmente a pezzi. La mia professione è stata per me l’unica forma di protezione.
In alcune immagini di Black Box Diaries mostra i faldoni dei documenti che ha raccolto nel corso di tutta la vicenda giudiziaria. Ito ha registrato e catalogato tutto: chiamate con la polizia, colloqui con il pubblico ministero, conversazioni con i testimoni.
La polizia giudiziaria le dice che non ci sono prove per perseguire penalmente Yamaguchi. Lei allora documenta, registra e cataloga.
Vittimizzazione secondaria
I due anni dal 2015 al 2017 sono estenuanti. Si ritroverà a ripercorrere decine di volte quella notte in cui ha ripreso coscienza intorno alle cinque del mattino, in una stanza di un hotel, mentre l’uomo con cui si era incontrata per discutere uno stage a Washington la violentava e la premeva al letto in una posizione talmente innaturale da slogarle un ginocchio.
Ito ha raccontato che quando è riuscita a divincolarsi e a correre in bagno aveva talmente tanti lividi addosso da non riconoscersi. Il seno le faceva male in ogni punto e i capezzoli le sanguinavano.
Negli innumerevoli interrogatori che le hanno fatto, gli agenti le hanno chiesto più volte se fosse vergine o meno. Si è ritrovata persino a riprodurre “la scena del crimine” in una sala di judo della questura, circondata da soli agenti uomini, con una bambola della grandezza di una persona.
Alla fine l’agente capo, che Shiori Ito chiama sia nel libro che nel documentario “Investigatore A.”, dopo alcune reticenze, si mette in ascolto della giovane venticinquenne e studia il caso.
Investigatore A. raccoglie la testimonianza del tassista che quella sera aveva accompagnato i due all’hotel; ottiene il video delle camere di sorveglianza dello Sheraton (dove si vede Ito letteralmente trascinata fuori dal veicolo) e presenta prove sufficienti affinché il pm possa predisporre un mandato di cattura per Yamaguchi.
È tutto pronto per l’arresto del giornalista dell’emittente Tokyo Broadcasting System all’aeroporto di Narita. Eppure, l’investigatore A. chiamerà poco dopo Ito dicendo che, all’ultimo, hanno ricevuto l’ordine di bloccare tutto.
“Sono estremamente dispiaciuto per la mia inadeguatezza”, dirà l’investigatore A. a Ito. “L’ordine è arrivato dai piani alti della Polizia metropolitana di Tokyo”. L’investigatore A. e il pm vengono sollevati dal caso. Le indagini passano all’unità investigativa della Polizia Metropolitana di Tokyo.
Non è chiaro sin da subito il motivo per cui il mandato di arresto viene ritirato all’ultimo, ma Ito riesce a mettere insieme i pezzi un giorno in libreria.
Yamaguchi è il biografo dell’ex presidente Shinzo Abe e, proprio in quelle settimane, era prevista l’uscita del libro. Grazie all’aiuto dei colleghi dello Shukan Shincho, (i primi nel mondo dei media giapponesi a volersi occupare del caso), emergono i collegamenti e le relazioni tra il capo della polizia di Tokyo Nakamura Itaru, il giornalista della TBS Yamaguchi Noriyuki e l’uomo più importante della politica giapponese Shinzo Abe.
Nakamura, che più avanti verrà promosso a capo dell’Agenzia Nazionale della polizia giapponese, dichiarerà ai reporter dello Shukan Shincho che “la decisione finale era stata sua”.
Il silenzio non porta pace
Yamaguchi non è più perseguibile penalmente. Piuttosto, la biografia di Abe lo promuoverà a commentatore televisivo.3 Nel 2017, Ito ha un solo modo per provare a riaprire il caso: rendere la storia pubblica esponendosi in prima persona.
Bisogna divulgare l’orrore dello stupro, e quando tocchi nel profondo la vita di una persona. Trovandomi per la prima volta nei panni della vittima, ho imparato quanto le nostre voci restino inascoltate. Da giornalista, dico che è necessario sollevare questi temi.
Mi si stringeva il cuore, vedendo Yamaguchi continuare a parlare da una posizione di potere. Cosa significa “libertà di parola” in questo paese? Cosa proteggono realmente le leggi e i media?
Un altro aspetto rilevante che emerge a questo punto è la posizione della famiglia di Ito rispetto alla sua decisione di tenere una conferenza stampa: madre, padre e sorella minore tentano di farla desistere. Esporsi – le dicono – getterà lo stigma esclusivamente su di lei. Sarà per sempre vittima.
Le recrimineranno come era vestita, perché si trovava a cena sola con Yamaguchi e perché non ha provato ad andarsene. Ito riporta nel libro una frase che le dice il padre: “Più che combattere per cambiare la società, vorrei solo che tu sia felice. Il solo desiderio di un genitore per la propria figlia è che viva serena– essere felicemente sposata e creare una famiglia amorevole.
Pretendere che nulla sia successo – scrive Ito – potrebbe limitare i dolori, ma questo non vuole dire necessariamente che il silenzio possa portare la pace. Per quanto mi riguarda, non sarei felice se rimanessi in silenzio.
Nel documentario, le immagini personali di Shiori Ito si alternano con quelle di alcuni interventi in parlamento in cui si discute la revisione della legge sullo stupro.
Una prima modifica al Codice penale arriva proprio nel 2017: il reato di “stupro” viene definito “rapporto sessuale forzato”. Non è da considerarsi la sola penetrazione vaginale, ma anche quella orale e anale. Chiunque – non solo le donne, quindi – può considerarsi vittima di violenza sessuale.
L’ultima revisione è quella più recente del 2023. Una novità importante è l’innalzamento dell’età del consenso che passa dai 13 ai 16 anni. L’altra è quella di includere il concetto di consenso (finalmente! ndr) nella definizione di stupro, rimuovendo quindi il precedente requisito della forza fisica.
La vittoria
A volte, la vita offre delle coincidenze che appaiono davvero singolari.
Il processo verrà riaperto in sede civile. Una prima vittoria arriverà nel dicembre 2019. È indelebile l’immagine del legale che esce di corsa dalla Corte distrettuale di Tokyo e che, a favore di camera, dispiega un grande foglio bianco con due caratteri riportati sopra: 勝訴 (shouso), vittoria.
Poi, per quelle strane ricorrenze citate prima, si pronuncerà tre anni più tardi anche la Corte Suprema. La sentenza arriva nello stesso giorno in cui Yamagami Tetsuya ferisce mortalmente Shinzo Abe, in un comizio a Nara.
Yamaguchi, con un post su Twitter (si chiamava ancora così), è stato il primo ad annunciarne la morte.
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Jo molto apprezzato questo suo post e cercherò di recuperare il documentario o almeno leggere il libro. Non mi è però chiaro che cosa ne è stato del violentatore: assolto? Perseguito penalmente? Civilmente? Comunque un grande elogio alla vittima che ha saputo, da sola e contro tutti, imporre modifiche così importanti alla legge giapponese.